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La tradizione di Su Filindéu, la pasta sacra, la più rara in Sardegna

Articolo di Gisella Dessì 

Il 29 e 30 aprile si sono tenute a Su Gologone di Oliena due giornate dedicate alla preparazione de Su Filindéu. Un progetto realizzato dall’Associazione “La cucina delle Matriarche” e riservato a pochissimi Chef ed esperti del settore selezionati tra centinaia di richieste. I partecipanti hanno potuto inoltre seguire la relazione di uno dei massimi esperti e studiosi di gastronomia sarda, Giovanni Fancello. Su Filindéu, impalpabili fili che danzano tra le mani sapienti e generose di una delle Sacerdotesse predestinate a tramandare quest’ arte. Raffaella Marongiu figlia di Gavina Selis, è una delle custodi di questa antica lavorazione che con maestria di movimenti trasforma semola, acqua e sale in un intreccio di fili infiniti.

Per Raffaella non è stato facile prendere la decisione di “insegnare” e tramandare quest’arte , ma con coraggio e generosità ha voluto compiere questo passo condividendo il progetto fortemente voluto da due donne altrettanto straordinarie, competenti e appassionate. Maria Antonietta Mazzone e Simonetta Bazzu (dell’Associazione La Cucina delle Matriarche con lo scopo primario di valorizzare e tramandare arti, magici saperi e antiche ricette della tradizione Sarda ) hanno ben capito la delicatezza dell’argomento e nonostante le inevitabili polemiche, con perseveranza hanno portato avanti il percorso, convinte che solo con criteri rigidi e consapevoli si poteva preservare la tradizione per consegnarla alle generazioni future. Su Filindeu racchiude storia e identità di un popolo, ma anche un’arte manuale antica, che, si rischiava di perdere.

Ad esempio una delle regole fondamentali per gli chef e gli allievi selezionati è quella di sancire un patto, una sorta di obbligo morale: raccontare la storia, le sue origini, i riti sacri e usare solo materie prime sarde.

Il corso non poteva che iniziare ascoltando il “sapere” di Giovanni Fancello , giornalista, scrittore, gastronomo, autore , ricercatore e blogger:

…. “nessuno è stato designato e consacrato dal Divino ad essere l’unico ed il solo portatore di questa cultura, tutti possono fare su filindéu, basta rispettare il rituale, avere una buona manualità ed usare gli ingredienti prescritti.

Tante  fortunatamente, sono le Vestali che difendono il sacro rituale de su filindéu con il sano proponimento di tramandare e trasferire l’atavica conoscenza”

Giovanni Fancello riconosce che le origini della pasta non sono molto chiare perché tanti sono gli elementi storici da prendere in considerazione e spesso non collegabili da prove certe. C’è chi dice che sia araba, portata in Sicilia dopo la sua conquista. Altri ritengono, invece, che provenga dalla Cina. Un’altra scuola di pensiero vuole invece che essa sia l’evoluzione di una pasta greca e latina. Anche le origini de Su Filindéu nuorese sono controverse, in realtà Filindéu dovrebbe provenire dall’arabo “fidaws”, parola che, evolvendosi nella penisola di conquista islamica, quella iberica, è venuta a significare “capello” sottile come un capello e assumendo il nome fideos.

Sempre Fancello, spiega ancora che per quanto riguarda il metodo di preparazione, si ritrovano tracce nei ricettari medievali arabi. La pasta è fatta esclusivamente a mano, e non esiste un segreto particolare, se non la memoria delle  “mani”. Si ottiene da un impasto di semola di grano duro e acqua, fatto a filone e stirato a mano per ben 7/8 volte,  finché non assume la parvenza di un tessuto a trame sottili, intrecciate e trasparenti. Non è un procedimento semplice,  l’impasto deve avere la giusta consistenza che si ottiene dopo tanto lavoro e grande tecnica per renderlo elastico e malleabile. I fili di pasta vengono riposti su ripiani rotondi di asfodelo e fatto asciugare al sole.

Non solo un cibo, ma un rito sacro e una tecnica di preparazione che può richiedere anni prima di essere replicata.

Su Filindéu è considerato un “piatto sacro” si narra che veniva servito solo ai fedeli che compivano a piedi o a cavallo il pellegrinaggio da Nuoro a Lula per la festa di San Francesco. Ancora oggi, infatti, si dice che “non esiste la festa senza Filindéu”, che viene preparato in grandi quantità per l’occasione.

Questo è ciò che racconta la storia :

“NUORO 1890. Francesco Tolu, un giovane ragazzo, venne accusato di omicidio. Rifiutando ogni accusa, scelse la latitanza, proclamandosi innocente. Dopo qualche tempo fu convinto a costituirsi e nel dibattimento in tribunale fu dichiarato innocente. Tanta fu la gioia, che fece costruire un santuario in Onore di San Francesco (il suo santo protettore) intorno alla grotta dove aveva trascorso la sua latitanza. Fu da allora che ogni anno viandanti e fedeli si recano due volte  in pellegrinaggio, e molti di loro hanno la fortuna di gustare Su Filindéu, da oltre cento anni preparato dalle donne delle stesse famiglie, le quali, mesi prima, iniziano la sua lavorazione, cuocendolo poi nel brodo di pecora e accompagnandolo con un filante formaggio acido”(cit.)

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