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Arco Cafè a New York, dove a tavola si racconta la Sardegna

Daniele Fiori, nuorese, è un ragazzo che sette anni fa ha fatto i bagagli per trasferirsi oltreoceano, a 6747 km di distanza da casa sua, precisamente a New York, la città cosmopolita per eccellenza. È proprio qui, nella Grande Mela, che due anni dopo il suo trasferimento grazie alla sua forte determinazione e la voglia di mettersi in gioco, è diventato proprietario insieme a sua sorella del caratteristico Arco Cafè, un posto che sa di casa, del quale la Sardegna ne è protagonista.

È qui che coccola i suoi clienti ricordando un po’ cos’è la Sardegna, sentendosi una sorta di ambasciatore della sua terra, proponendo piatti tipici nostrani di alta qualità, rigorosamente fatti a mano.

Le recensioni parlano chiaro, si leggono spesso frasi come “Sentirsi a casa oltreoceano” o “L’amore attraverso il cibo”, perché per Daniele è questo l’importante, far sentire i clienti a casa, e spiegare attraverso l’arte culinaria una delle più antiche e particolari culture del mondo. L’intervista:

Daniele parlaci di te, da quanti anni ti sei trasferito in America?

Mi sono trasferito qua sette anni fa, seguendo la scelta di mia sorella che si era trasferita l’anno prima. Sono partito con l’idea e il sogno di poter aprire un ristorante, qualora ci fosse stata la possibilità, perché quella della cucina è sempre stata una mia passione, nonostante a Nuoro facessi tutt’altro.

Ripensando oggi alla scelta che ho fatto ci vedo anche incoscienza, perché quando sono partito qua in America, non avevo niente, ho lasciato le certezze e il lavoro che avevo a Nuoro per inseguire questa sorta di sogno, arrivando a New York a 32 anni con tanta voglia di mettermi sotto e riuscire. Nel momento in cui mi sono trovato qui mi sono reso conto che non ero proprio in grado e che il mio inglese non era poi così perfetto, perciò ho studiato la lingua e cercato lavoro. Ho lavorato inizialmente come cameriere, poi Bartender, diventando in seguito Manager del ristorante nel quale lavoravo fin quando il mio datore di lavoro mi propose di aprire Arco cafè, iniziando così un nuovo capitolo.

Cos’è Arco Cafè?

Arco Cafè è un piccolo ristorante, nel cuore di Manhattan, la quale impronta è quella di ciò che ci appartiene come tradizione. Qui in America li chiamano Neighbors Restaurant, che significa ristoranti a dimensione del quartiere, offriamo un tipo di cucina considerata da noi italiani come cucina di casa, ma per gli americani ha un impatto un po’ diverso.  La nostra prerogativa è fare le cose a mano come un fatto in casa, perché penso faccia la differenza. New York è una città che non mente e a cui non puoi mentire, e a distanza di cinque anni dall’apertura posso dire che nel nostro piccolo abbiamo ottenuto un certo successo che ci ha permesso di lavorare bene e continuare il nostro lavoro, giorno per giorno. Il nostro è un ristorante con 38 coperti ma con 16 dipendenti, perché non prendendo mai niente di pronto, partiamo dalle materie prime per cui ci sono tanti passaggi, come quelli che una nonna sarda potrebbe seguire durante i preparativi di un pranzo domenicale.

Voi proponete la Sardegna in tavola, qual è la risposta della clientela?

La risposta è più che positiva, quello che mi dispiace è che molte volte la maggior parte della gente non ha ben chiara nemmeno la posizione della Sardegna. Purtroppo non siamo mai stati bravi a promuovere la nostra terra, sebbene la Sardegna abbia davvero tanto da dare, per cui quando sono qua e servo una Seada o un piatto di Malloreddos, lo faccio con orgoglio, e l’orgoglio è doppio perché mi rendo conto che per noi tante cose sono scontate perché le abbiamo sempre avute. Il poter spiegare cosa c’è dietro questo piatto mi rende fiero prima di tutto da ristoratore e poi da Sardo, perché quello che offro è ciò che mi appartiene. Tanta gente ai tavoli di Arco Cafè ha potuto scoprire in pillole ciò che è la Sardegna tramite la cucina, che è sempre un mezzo tramite il quale si possono raccontare tante cose. C’è sempre qualcosa di nuovo da fare, e se mi guardo indietro a cinque anni fa quando siamo partiti vedo un crescendo e mi auguro che continui così.

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 Arco Cafè New York 5  

I vostri clienti hanno dei piatti preferiti?

I Malloreddos alla Campidanese sono quelli che piacciono di più, spesso nella semplicità si incontrano le cose più buone. Facciamo paste tipiche di diversi posti della Sardegna ma essendo di Nuoro prediligiamo la cucina barbaricina, in Sardegna esistono tantissimi tipi di pasta, per questo è praticamente impossibile conoscerle tutte. Le paste sono le cose preferite dalla clientela e cerchiamo sempre di aggiornarci, ad esempio abbiamo creato una nuova scelta nel menù con un piatto di pasta chiamata Pellizzas, che io appunto non conoscevo, consigliatomi da una signora sarda novantenne che mi ha passato la ricetta via email.

Immagino anche i dolci!

Beh le Seadas assolutamente, è un dolce/non dolce perciò li stupisce, non esiste niente qui che possa avvicinarsi nemmeno un po’ a questo piatto.

Osare premia?

Si può osare, ma in maniera intelligente. Gli americani sono così diversi, perciò bisogna trovare un compromesso senza snaturare i nostri piatti, essendo in grado di capire come offrirli e in quale maniera. A volte ho provato a fare cose che probabilmente erano anche troppo, ad esempio quando si cucinano le interiora degli animali qui si storce il naso. È una questione culturale, gli americani sono sempre stati ricchi, hanno sempre avuto le carni migliori con i tagli migliori, a differenza nostra che siamo dovuti andare a tirar fuori il meglio delle parti più povere dell’animale. Se per noi è diventata un arte, qua no, le cose le vogliono in una certa maniera. Quindi, quando le proponi bisogna prendersi il rischio ed è necessario farlo perché qui la cucina italiana è tutta standardizzata. Anche il cliente si aspetta sempre la stessa cosa, per questo motivo bisogna essere bravi a capire come proporre le cose e farlo umilmente, perché naturalmente non si può apparire come gli unici che sanno mangiare. Ovviamente quando mi è stato chiesto il ketchup sulla pasta ho detto di no,- ride– c’è sempre un limite. In quello che proponi bisogna sempre essere un passo avanti, e per capire quali sono le preferenze della gente mi è servito tanto avere le mie varie esperienze lavorative prima di aprire il mio ristorante. Rischio si ma sempre con limite.

Abbiamo parlato di piatti freschi puramente sardi e completamente fatti a mano, è complicato far arrivare i prodotti a New York?

Alcuni prodotti come le carni non si possono importare, per gli altri prodotti mi appoggio su delle compagnie di distribuzione, che sono quelle che importano i prodotti dalla Sardegna, dalle quali prendo formaggi, Pane Carasau eccetera, in questo caso non è tanto la difficoltà, ma si tratta del prezzo, che sarà più alto. Non si trova tutto ma comunque non ho problemi a trovare ciò che mi serve. In ogni caso, carni, insaccati e farine non si possono importare.

Quali sono le principali differenze fra la vita a New York e quella in Sardegna?

E tutto diverso, qui si corre sempre. Il locale è aperto 363 giorni all’anno, chiude solo il giorno del Ringraziamento e il giorno di Natale. È aperto tutto il giorno da mezzogiorno alle undici di notte. Le giornate a New York sono sempre uguali, non c’è niente che scandisca il tempo. Immagina New York come una grande centrifuga, la frenesia è di casa. C’è tanta competizione in tutti gli ambiti e il tempo vola. Da noi la giornata scorre molto più calma, ci si può ritagliare più tempo per noi stessi, qui invece la vita è proiettata sul lavoro. È una vita che può dare tanto ma a patto che ci si metta sotto. La vita qui non è facile, non è la città che si vede durante la settimana in vacanza, quella è giusto una vetrina, poi tutto è diverso. Se si potesse vivere creando una realtà fatta di una metà di vita sarda e un altra metà di vita newyorkese, si vivrebbe nelle migliori condizioni possibili.

Qual è quindi la cosa che ti manca di più di casa?

La qualità e il valore del tempo libero. Personalmente mi manca tanto della Sardegna, ma non fraintendermi, la mia vita è qui e ne sono soddisfatto. Se non altro questo è un posto dove ancora esiste il merito, in Sardegna purtroppo manca l’opportunità e per quanto si possano avere tante idee, siamo talmente pochi che non ce n’è per nessuno. Quando vivi fuori ti rendi conto di quanto si viva bene in Sardegna, ma non si può avere tutto. Fortunatamente avendo visto e vissuto diverse realtà posso vivere più serenamente e rilassato.

Un sogno nel cassetto?

(Ride) Ormai sono vecchio per i sogni nel cassetto o forse il mio lo sto vivendo proprio ora. Arrivare a un sogno è un percorso, per cui ti dico cosa vedo nel mio futuro? Mi vedo continuando a fare quello che sto facendo adesso, sono soddisfatto di ciò che faccio e chissà cosa si potrà creare, magari potremo ampliare il nostro lavoro, sempre prediligendo la genuinità, ma si vedrà. Quello che voglio ora è consolidare Arco Cafè come progetto, al di là del fatto che sia un ristorante mi sento una sorta di ambasciatore perché ogni qualvolta che qualcuno ha un approccio col nostro menu ha un assaggio di Sardegna, io lo faccio attraverso ai miei piatti e questo come ho detto è un motivo di orgoglio.

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