Diga di Monte Nieddu-Is Canargius: incompiuta da quasi 60 anni con problemi che non finiscono mai
La Astaldi, terza classificata si aggiudicò l'appalto. Nel marzo scorso il cantiere è stato riaperto. Oggi la notizia dello stop voluto dai lavoratori, stanchi dei ritardi nel pagamento degli stipendi, ennesima tegola nella storia di una delle più vecchie incompiute d'Italia.
Per avere un’idea di quella che è a tutti gli effetti una delle opere incompiute più longeve e problematiche della storia italiana, basti pensare che il primo progetto per la realizzazione della diga incompiuta di Monte Nieddu-Is Canargius firmato dal professor Costantino Fassò risale addirittura agli anni ’60. Lo stop ai lavori annunciato nella giornata di oggi dai lavoratori del cantiere a causa del mancato pagamento degli stipendi è solo l’ennesimo di una lunga storia di ritardi, problemi e mancate soluzioni.
Quella della diga compresa nei territori di Sarroch, Pula e Villa San Pietro è infatti una storia complicata. Dopo che il progetto del professor Fassò fu approvato nel 1970, rimase nel congelatore per più di 20 anni, fino al 1994, quando la Regione Sardegna, in uno dei periodi di massima siccità per l’isola, diede il benestare per l’apertura del cantiere. Tre anni dopo, nel 1997, l’appalto fu assegnato a una Ati temporanea italo-spagnola Ati Dragados y fomento Construcciones – Grandi lavori Fincosit Spa.
Il cantiere, piuttosto innovativo per il periodo, andò avanti per quattro anni. Nel 2001 tornarono i problemi e il progetto si arenò per la difficoltà a reperire le ceneri di carbone dalla centrale Enel di Portoscuso, indispensabili per la prosecuzione dei lavori. Così, 17 anni fa, gli spagnoli chiusero i cancelli con appena il 20% dei lavori ultimati. In quel momento ebbe inizio un lento declino durato circa 15 anni.
Nel mezzo le vibranti proteste degli ambientalisti. «Un’opera inutile e dannosa per l’ambiente con un rapporto costi-benefici inaccettabile». Così la pensano da sempre i membri dell’associazione Gruppo di intervento giuridico che si oppongono alla costruzione dello sbarramento. L’opera non fu mai sottoposta a procedura di valutazione d’impatto ambientale perché il progetto era stato approvato prima del 1988.
La volontà politica per la realizzazione dell’invaso però non è mai mancata. Nel settembre 2004, a due anni dalla chiusura del cantiere e a contenzioso aperto, il Comitato interministeriale per l’economia approvò un finanziamento da 52 milioni di euro per il completamento dell’opera. L’intervento è poi sempre stato inserito, negli anni successivi, nei documenti di programmazione economica e finanziaria (Dpef) dei diversi governi.
Dopo anni di stallo, il 25 novembre 2011, il Consorzio di bonifica della Sardegna meridionale pubblicò il bando per l’assegnazione dei lavori di completamento. A disposizione 83 milioni di euro, 52 messi a disposizione dal Cipe, poco più di 30 dalla Regione Sardegna. La Tecnis, azienda di Catania, fu quella che offrì il ribasso più alto, ma il Consorzio di bonifica della Sardegna meridionale non ritenne sufficienti le giustificazioni di spesa. All’inizio del 2014 la palla è passata quindi alla Impresa Spa, azienda romana, che però fu commissariata poco dopo e quindi non è riuscita a coprire le spese fidejussorie necessarie per aggiudicarsi definitivamente l’appalto pubblico.
La Astaldi, terza classificata si aggiudicò l’appalto. Nel marzo scorso il cantiere è stato riaperto. Oggi la notizia dello stop voluto dai lavoratori, stanchi dei ritardi nel pagamento degli stipendi, ennesima tegola nella storia di una delle più vecchie incompiute d’Italia.
FONTE: https://ifg.uniurb.it/static/sito-2015/static/lavori-fine-corso-2014/marcis/index.html
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