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Quando la distrofia muscolare non è un limite: la storia di Claudio, giornalista innamorato della penna

Articolo di Laila Di Naro.

Quando sono entrata nella redazione di Vistanet sono rimasta colpita da Claudio, un giornalista collaboratore come me. Ma ancor di più ho sgranato gli occhi per la sua serenità e la sua forza di vivere la vita come tutti i suoi colleghi. Perché Claudio Castaldi ha 34 anni ed è affetto da distrofia muscolare dalla nascita: «È genetica», mi dice con tanta disinvoltura, con un tono fermo e sicuro che mi lascia spiazzata. Prendo coraggio, quel coraggio che mi dà lui per iniziare la chiacchierata. Entriamo in intimità, parliamo, ridiamo e poi con prontezza e impazienza aspetta le mie domande. Al giornale gli vogliono bene, consegna quasi un pezzo al giorno. Claudio è semiparalizzato, sta seduto su una sedia a rotelle elettrica, le mani le muove ancora, scrive dal suo computer ed ha una buona preparazione tecnologica. Usa il respiratore, ma riesce a mangiare in autonomia. È ironico e simpatico, la sua voglia di vivere, la sua tenacia è un esempio per tutti.

Claudio sei nato così. Quando hai realizzato di essere diverso come hai reagito?

A tre anni ho accusato una lussazione alle spalle, ho iniziato ad aver dolori ma non ho mai pensato di avere una malattia degenerativa. Ero troppo piccolo per capire. All’asilo giocavo come tutti i bambini, alle elementari pure. Poi a 13 arriva la sedie a rotelle perché la schiena non ha più retto. Un’età particolare, quella dell’adolescenza, ma non mi sono mai perso d’animo. Per me era tutto normale. Mi sono buttato nello studio, mi sono laureato in Scienze Giuridiche e mi sono appassionato di cinema, soprattutto del genere bianco e nero ottenendo una collaborazione con Cinemecum. E poi dal 2016 mi sono appassionato al giornalismo. Adoro scrivere.

Sei sempre attivo?

Sì. Faccio quello che mi piace e i  miei genitori mi sostengono in tutto e mi accontentano sempre. Ma non sono viziato. La distrofia muscolare mi ha portato ad un peggioramento e ad usare il respiratore. Obbligatorio anche per dormire. Lo tolgo solo qualche momento da seduto. Quindi non mi privo delle cose che voglio fare.

Mangi in autonomia?

Sì sì. Mi stacco il respiratore e posso mangiare normalmente. Per il mio corpo muovo le braccia e le gambe solo se mi appoggio. Esco lo stesso e viaggio molto, accompagnato, ma vado dove voglio. Anzi è anche una comodità avere la carrozzina (sorride, ironizza ndr). Accetto la mia malattia, non mi abbatto mai. Me la vivo finché posso.

Hai amici?

Scelgo io gli amici e sono molto esigente, la maggior parte li sento con i mezzi digitali. Non sono il tipo che va a cena fuori o a pizzate. Alcuni sono diventati miei amici grazie al lavoro. Mi confido con gli adulti, mi trovo più a mio agio.

Qual è la tua forza?

Sono molto credente, questa è la mia forza. Frequento la parrocchia della Santissima Annunziata, faccio parte dei cooperatori paolini e della milizia dell’immacolata di padre Kolbe.

Hai paura?

La Chiesa mi toglie paura. Sono uno che vive in serenità. Ho paura se percepisco tensione negli altri. Non mi spaventa nemmeno la morte. Prima o poi siamo chiamati tutti.

Cosa è per te l’amore?

Un sentimento reciproco, dove uno dà e riceve. Avevo una fidanzata tre anni fa, ma è durato solo due anni. Anche lei era portatrice di handicap. Ma quando mi sono accorto che stava diventando un rapporto soffocante ho detto basta.

La cosa che detesti di più?

L’egoismo. Io sono un altruista e do l’anima. Posso rinunciare a tutto. Ma spesso mi accorgo che nessuno contraccambia. Pochi lo sono. La maggior parte sono egoisti.

Come vedi il tuo futuro?

Coltivo i miei interessi, il giornalismo, l’univerisità, il cinema e la chiesa. E prevedo, ovviamente, momenti alti e bassi di salute.

 

 

 

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