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Etiopia. A studiare le impronte di 700 mila anni fa c’è anche l’Università di Cagliari

Melka Kunture, Etiopia. C’è anche l’Università di Cagliari, con la professoressa Rita Teresa Melis docente del dipartimento di Scienze chimiche e geologiche, fra le collaborazioni che hanno permesso ai ricercatori dell’Università La Sapienza di Roma, coordinati dalla professoressa Margherita Mussi – docente del dipartimento di Scienze dell’antichità – di fare una scoperta dai risvolti unici. È qui che in un sito di circa 100 chilometri quadrati, a 2 mila metri di altezza, sono state scoperte delle impronte bambini risalenti a 700 mila anni fa. 

Una scoperta che rappresenta un enorme traguardo se si pensa che questo sito è studiato da ricercatori di diverse discipline da oltre 50 anni e la stessa Prof.ssa Mussi ci lavora da 10 anni. I risultati della ricerca che ha permesso di scoprire le impronte sono stati pubblicati sulla rivista Scientific Reports; una ricerca condotta a partire dagli scavi realizzati dai laureandi e dottorandi della Sapienza coordinati dalla Prof.ssa Mussi che ha commentato con orgoglio al Corriere della Sera: «Sono felicissima del lavoro svolto dai nostri giovani. Questa scoperta è il risultato di 3 anni di lavoro sul terreno nel corso dei quali si sono alternati una decina di ragazzi. Fra loro c’è Flavio Altamura che su questo studio ha centrato il suo dottorato di ricerca e che ho voluto fosse il primo firmatario della pubblicazione».

Dalle impronte è stato possibile ricostruire un momento della vita di una comunità di uomini appartenenti alla specie Homo heidelbergensis, una fotografia – come l’ha definita lo stesso Flavio Altamura – dove si può vedere un gruppo di tre bambini che hanno accompagnato i genitori in una battuta di caccia e, mentre gli adulti macellano l’animale cacciato (dai resti emersi si ritiene fosse un ippopotamo), loro girovagano nei pressi dello stagno dove è stato ucciso l’animale. Come ha ricostruito Matthew Bennett, dell’università britannica di Bournemouth, «i piccoli partecipavano a queste attività potenzialmente pericolose ed erano probabilmente autorizzati a maneggiare gli strumenti di pietra. Ciò indica, quindi, che il comportamento dei genitori era molto diverso da quello dei genitori iperprotettivi delle moderne società occidentali».

«Altri ricercatori hanno scavato qui, scoprendo altre cose ma non queste orme -ha raccontato la professoressa – c’è qualcosa che somiglia a un gruppo di donne e più bambini che svolgono attività quotidiane; ci sono tracce di “scarnificazione”, con uno strumento di pietra tagliavano la carne». Un salto indietro nel tempo che la docente e i suoi ricercatori continueranno grazie alle autorizzazioni con le autorità locali e grazie anche alla spinta di altri ritrovamenti collaterali rispetto alle impronte, come numerosi strumenti di ossidiana.

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