La cucina sarda (e quella cagliaritana) sono storicamente povere. Per secoli i vegetali, i legumi e i prodotti spontanei sono stati l’alimento base delle classi più basse. In questo contesto si inserisce perfettamente uno dei piatti più antichi e “simpatici” della gastronomia casteddaia: su Pisci a Collettu, letteralmente “il pesce con il colletto”. In realtà non si tratta di pesci (benché la cucina cagliaritana sia zeppa di prodotti ittici) ma di fave secche lessate. Un nome che ironicamente andava a indicare appunto il pesce dei poveri, fave bollite con qualche rametto di menta e aglio, una pietanza povera di proprietà nutritive che in determinati periodi dell’anno diventava il cibo comune dei poveri.
Per tutto il Medioevo e fino al secolo scorso, le fave secche cotte in svariati modi, infatti, hanno costituito la principale base proteica alimentare di molte popolazioni dell’Italia meridionale.
Piatto dei poveri, si diceva ma non solo. Con il concludersi del grasso e festoso Carnevale, infatti, tutta la cristianità si preparava a celebrare con grande rigore il periodo di Quaresima. E quando la religione era molto sentita (ultimamente meno, se si guardano le abitudini di molti Cagliaritani) su Pisci a Collettu diventava una sorta di pietanza ideale, ben inserita in quel cammino di rigida penitenza che ogni buon cristiano doveva affrontare. Un cammino in cui era severamente vietavo il consumo di carni e di cibi grassi. E allora Pisci a Collettu per tutti: fave secche lessate e condite con aglio, un rametto di menta, olio e pepe a piacere. Un nome originale che dimostra come tanti anni fa le fave fossero l’unico pesce che i poveri si potessero permettere. E il colletto (segno di distinzione tra i più conosciuti) da dove arriva? Il segno nero che il legume secco ha sulla buccia, appunto un piccolo colletto sulla fava.
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