Qual è la città d’Europa dove si pedala di più? Cagliari lancia la sfida a “European Cycling challenge”
Anche nel 2017, per il quarto anno consecutivo, Cagliari partecipa alla European Cycling Challenge, la “sfida” tra città europee sull’utilizzo della bicicletta per gli spostamenti quotidiani non legati all’ambito sportivo. Vince la città in cui si pedala di più, in
Anche nel 2017, per il quarto anno consecutivo, Cagliari partecipa alla European Cycling Challenge, la “sfida” tra città europee sull’utilizzo della bicicletta per gli spostamenti quotidiani non legati all’ambito sportivo. Vince la città in cui si pedala di più, in base ai chilometri percorsi dai ciclisti iscritti alla sfida, che si tiene dal primo al 31 maggio.
Su proposta del Comune di Cagliari la squadra sarà costituita, come nel 2016, dai 17 Comuni della Città Metropolitana. Per i ciclisti che intendono partecipare è già possibile l’iscrizione alla squadra della Città Metropolitana di Cagliari scaricando sul proprio smartphone l’applicazione gratuita Naviki. Tutti i percorsi effettuati in bicicletta durante il periodo della competizione, esclusi quelli sportivi, verranno registrati dall’applicazione: tanti più saranno gli iscritti, maggiore sarà il numero di chilometri percorsi dalla squadra. Le istruzioni e il manuale d’uso dell’applicazione si trovano sul sito www.cyclingchallenge.eu/it/naviki
Chi non possiede un telefono di ultima generazione potrà tracciare direttamente sul sito i percorsi effettuati, anche senza utilizzare la app. Nella scorsa edizione la Città Metropolitana di Cagliari si è classificata 31esima su 52 città con 99 chilometri percorsi per abitante e 32esima con 33.728 chilometri effettuati in totale durante il mese della sfida, davanti a città come Barcellona o, per restare in Italia, Ravenna: un dato che è una conferma dell’interesse di chi vive e lavora nella Città Metropolitana per l’uso della bicicletta nei percorsi casa-lavoro, casa-scuola e negli spostamenti urbani in genere.
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Accadde oggi: 4 maggio 1949, la tragedia di Superga. Tra le vittime anche l’ex allenatore del Cagliari Ernő Erbstein
Quella di Ernő Egri Erbstein, leggendario tecnico ebreo ungherese direttore tecnico del Grande Torino, è una storia incredibile: scampato più volte allo sterminio nazista, trovò la morte nel 1949 nella tragedia di Superga. Chiamato alla guida del Cagliari fra il 1930 e il 1932 portò per la prima volta i rossoblù in Serie B. Si può senz'altro dire che fu uno dei primi a far conoscere alla Sardegna il calcio moderno.
Il 4 maggio di 73 anni fa si verificò la tragedia aerea di Superga, la sciagura sportiva più triste che l’Italia abbia mai conosciuto. Morirono 31 persone, tutti i fenomeni del Grande Torino e lo staff. Tra questi c’era anche un volto noto del Cagliari, Ernő Egri Erbstein, di cui vi vogliamo raccontare la storia.
C’è infatti un po’ di rossoblù nella parabola tragica e grandiosa di uno dei più grandi maestri di calcio in Italia del primo ‘900. Ernő Egri Erbstein, calciatore e allenatore ungherese nato nel 1898 in una famiglia ebraica della Transilvania, prima di diventare uno dei fautori del “Grande Torino”, allenò anche il Cagliari.
Si può quasi dire che fu proprio Erbstein a portare il calcio moderno in Sardegna. Nel 1930, dieci anni dopo la nascita della società rossoblù, il tecnico magiaro, reduce dalle sue prime esperienze in panchina agli ordini della Fidelis Andria, del Bari e della Nocerina, fu chiamato a guidare i sardi nel campionato di Divisione Meridionale.
Il connubio tra Erbstein e il Cagliari fu un successo. I rossoblù vinsero il girone F del torneo di Prima Divisione e il successivo girone finale del Mezzogiorno, riuscendo ad accedere per la prima volta al campionato di Serie B. Anche qui gli uomini agli ordini dell’allenatore ungherese centrarono un ottimo piazzamento, un tredicesimo posto che valse la salvezza.
Purtroppo nella stagione successiva furono i problemi economici del Cagliari a separare i destini di Erbstein da quelli della Sardegna: l’artefice della prima promozione in Serie B tornò in Puglia, al Bari, mentre il club rossoblù fu dichiarato fallito e costretto a un lunghissimo purgatorio.
Lontano dalla Sardegna la carriera e la vita di Erbstein attraversano fino in fondo tutti i principali avvenimenti degli anni ’30. Fra il 1933 e il 1938 “Ernesto” – molti lo chiamavano così italianizzando il suo nome – fu protagonista di una splendida pagina di calcio alla guida della Lucchese, piccola squadra di provincia trascinata fino alla Serie A a suo di bel calcio e tanto coraggio. La squadra toscana, agli ordini di Erbstein, raggiunse un miracoloso settimo posto nella stagione 1936-1937 e un quattordicesimo piazzamento (e salvezza) nel campionato successivo.
Ma come abbiamo già accennato la parabola del mago ungherese del calcio si scontrò duramente contro i crudeli quanto beffardi risvolti della storia. La promulgazione delle leggi razziali del 1938 lo coinvolse direttamente e lo costrinse a salutare la sua amata Lucca, dove le sue bimbe non furono più accettate a scuola in quanto ebree. Erbstein si accasò a Torino, dove l’ambiziosa dirigenza gli offrì la panchina e la possibilità per le figlie di frequentare una scuola privata. Il suo inizio sulla panchina dei granata fu scoppiettante, ma venne interrotto bruscamente. Nel gennaio del ’39, fu costretto a lasciare l’Italia per via delle sue radici ebraiche.
Dopo varie peripezie trascorse tra Germania e Ungheria, il presidente del Torino Ferruccio Novo riuscì a farlo rientrare in Italia trovandogli un impiego in fabbrica e chiedendogli in cambio qualche consiglio tecnico-tattico sulla gestione della squadra. Fu Erbstein a suggerire l’acquisto di “un certo” Valentino Mazzola, futura leggenda granata e suo capitano. Erbstein in quel periodo faceva la spola tra l’Italia e l’Ungheria. A Budapest, nel 1944, fu arrestato dai nazisti durante l’assedio della città e venne deportato in un campo di lavoro da cui riuscì poi a scappare. Nel secondo e ultimo assedio della capitale ungherese il tecnico riuscì a mettersi in salvo grazie all’eroico progetto di Raoul Wallenberg, voluto dal presidente americano Roosevelt per salvare gli oltre 800mila ebrei ungheresi. L’ultimo grande aiuto per salvarsi Erbstein lo ricevette ancora una volta dal presidente Novo che lo tenne nascosto fino alla fine della guerra.
Poi, sempre il dirigente granata, lo volle alla guida dei suoi campioni in qualità di direttore tecnico: il connubio produsse una delle squadre più forti della storia del calcio italiano, il “Grande Torino”, che annoverava giocatori del calibro di Valentino Mazzola, Ezio Loik e Franco Ossola.
Le incredibili vicende umane e sportive di Ernő Egri Erbstein culminarono con la più grande tragedia che il calcio e lo sport italiano abbiano mai conosciuto: il 4 maggio del 1949, l’aereo sul quale viaggiava il Torino, si schiantò sulla collina di Superga. Erbstein, sopravvissuto all’olocausto e reduce da una vita tanto ricca quanto tormentata, morì insieme agli altri 30 passeggeri del Fiat G.212 della compagnia aerea ALI.
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