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Lo sapevate? Perché piace così tanto e come è nata la canzone “Roma Capoccia”?

Roma capoccia

Lo sapevate? Perché piace così tanto e come è nata la canzone “Roma Capoccia”?

Roma capoccia è una canzone italiana scritta da Antonello Venditti, il brano che gli ha dato la notorietà. L’autore l’aveva composta all’età di 14 anni e poi l’aveva messa in un cassetto. La canzone è un omaggio, un messaggio di rabbia e di affetto alla sua tanto amata città. Il testo in romanesco la rende verace. Scoprite perché è così amata.

Qualche anno dopo aveva presentato il brano ad un provino al Folkstudio e nel 1972 il brano fu inserito nell’album Theorius Campus, esordio suo e di Francesco De Gregori. Come singolo è stato pubblicato come lato B del 45 giri Ciao uomo/Roma capoccia e la canzone ebbe tanto successo qualche anno più tardi, quando l’LP fu ristampato proprio con questo titolo.

Nel 1972 la trasmissione radiofonica “Supersonic” mandò in onda la canzone di quello che allora era uno sconosciuto cantautore romano.

Il dialetto romanesco aveva dato la giusta coloritura ai versi ed era usato in maniera sicuramente non gratuita; la musica, come poterono verificare i critici di Laboratorio Roma, non era uno scarno accompagnamento al testo, come avveniva in quegli anni per la canzone d’autore, ma un vero e proprio arrangiamento orchestrale. La sua voce particolare e il modo di suonare e percuotere i tasti del piano lo resero celebre. Ambienti e figure sono popolari, e uniti a spunti critici e invettive graffianti la rendono una trasparente dichiarazione di amore-odio verso una città che contiene in sé il bene e il male del mondo, il vecchio e il nuovo, il sacro e il profano.

Poi Venditti ammise di averla scritta quando era grasso e infelice e per accendere la fantasia guardò oltre le nuvole di Via Zara 13, quartiere Trieste, immaginando cupole e fontanoni da lasciare in un cassetto e poi riscoprire. Roma Capoccia Venditti la scrisse affacciandosi alla finestra e osservando il palazzo di fronte. Ma la canzone rischiò di fare una brutta fine. Infatti non la riconobbe, se ne vergognò e la nascose. Per poi, fortunatamente per i suoi fan, cambiare idea. Quando la compose Venditti pesava 93 chili, aveva pochi amici e spendeva le sue domeniche pomeriggio in casa davanti al pianoforte. Ne nacque la descrizione di ambienti e figure di una Roma popolare con anche, come detto, diversi spunti critici e qualche invettiva graffiante.
La stessa Roma capoccia è una trasparente dichiarazione di amore-odio verso una città che contiene in sé il bene e il male del mondo, il vecchio e il nuovo, il sacro e il profano (il Cupolone e il Colosseo).

La canzone suona ancora nel cuore di tanti romani (e non solo).

Testo di “Roma Capoccia”

Quanto sei bella Roma quand’è sera,
Quando la luna se specchia dentro ar fontanone;
E le coppiette se ne vanno via, quanto sei bella Roma
Quando piove.
Quanto sei grande Roma quand’è er tramonto,
Quando l’arancia rosseggia ancora sui sette colli;
E le finestre so’ tanti occhi che te sembrano dì:
Quanto sei bella.
Oggi me sembra che er tempo se sia fermato qui
Vedo la maestà del Colosseo,
Vedo la santità der Cuppolone,
E so’ più vivo e so’ più bbono
No nun te lasso mai Roma capoccia
Der mondo infame.
‘Na carrozzella va co’ du’ stranieri,
Un robivecchi te chiede un pò de stracci,
Li passeracci sò usignoli,
Io ce sò nato Roma,
Io t’ho scoperta stamattina,
Io t’ho scoperta…
Oggi me sembra che er tempo se sia fermato qui.
Vedo la maestà del Colosseo,
Vedo la santità der Cuppolone,
E so’ più vivo e so’ più bbono
Io ce so’ nato a Roma, Roma capoccia
Der mondo infame.

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