Lo sapevate? Il Carnevale del Testaccio ha origini medievali.
Il quartiere di Testaccio si sviluppa intorno al Monte dei Cocci, una collina artificiale nata dall’accumulo di anfore romane scartate. La collina ha un perimetro di circa un chilometro ed è alta circa 50 metri.
La zona veniva quindi utilizzata come una vera e propria discarica per lo smaltimento delle anfore.
In seguito il Monte dei Cocci è diventato un luogo che ha ospitato scenari completamente diversi. La sua memoria è legata al Ludus Testaccie: si trattava di una celebrazione sul genere del carnevale, le cui prime tracce risalgono al 1256, quando era papa Alessandro IV.
I giochi durarono fino al 1466 ed erano particolarmente crudeli: i partecipanti alla festa si divertivano a lanciare gli animali dal monte; venivano sacrificati maiali, cinghiali e tori che poi i lusores trafiggevano, per ucciderli e mangiarli. Era una gara molto combattuta per impossessarsi per primi della carne delle bestie.
Come riporta Historia Regni, il carnevale si apriva il lunedì con una corsa di giovani, il martedì correvano gli ebrei, il mercoledì i vecchi. I corridori erano sempre tutti nudi, quando c’era pioggia, freddo o fango, e ciò si traduceva in un vero dileggio per i partecipanti. Agli ebrei, oltre all’obbligo della corsa, c’era anche quello di sborasre una tassa di millecentotrentuno fiorini per le spese dei festeggiamenti. Il giovedì seguiva la corsa dei barberi, cavalli provenienti dalla sponda nordafricana. Al sabato, ognuno dei tredici gonfalonieri – o caporioni – dei tredici quartieri di Roma, conduceva nel suo rione un toro adorno di fiori, accompagnato da certi ministri in questua per raccogliere carni salate, ciambelle, formaggi e fiasconi di vino che l’indomani portavano in banchetto a Piazza Navona assieme ai tori. La seguente domenica i più nobili cittadini si radunavano in Campidoglio i più nobili cittadini, adornati di ricche e preziose vesti, e in corteo raggiungevano la via di Testaccio.
Aveva così luogo un fastoso corteo di carri di tutte le magistrature, le corporazioni, la nobiltà. Il rione di Trastevere apriva il corteo. Ogni rione aveva il suo carro trionfale colla sua insegna tirato da quattro bianchi cavalli, e seguito da dieci giovani cavallieri accompagnati ciascuno da sei staffieri, riccamente vestiti con uniformi livree. I cavallieri erano seguiti dai gonfalonieri con dieci staffieri per ciascuno, preceduti dai tamburi. Seguivangli i maestri giustizieri, i riformatori dello studio, i due giudici del senatore, il capitano dell’appellazione, il putto della giustizia, i due cancellieri del popolo, i conservatori ed il senatore, i quali accompagnavano trecento soldati a piedi col loro capitano a cavallo. Chiudevano finalmente la pompa una folla di gentiluomini romani e forestieri tutti a cavallo.
Giunta questa pompa trionfale nel prato di Testaccio, sul monte si collocavano tredici carri tirati dai tori ed a ciascuno di essi erano legati giovenchi e porci. Su ogni carro poi era eretta un’asta dalla quale pendeva una canna di drappo rosato. Così preparati, questi carri venivano sospinti giù dal Testaccio ed al loro seguito si lanciavano i cavalieri del precedente corteo, tutti giovani della nobiltà romana. Essi, sguainate le spade, assalivano i carri e combattevano tra loro per impossessarsi di porci, bovini e drappo. Scaturiva una vera e propria battaglia nella quale non mancavano feriti.
La giornata si completava poi con gioco della cuccagna, aperto alla partecipazione dei popolani che potevano arrampicarsi su pali unti di grasso per conquistare le cibarie appese, che erano state raccolte nella questua. Infine si torvana alle corse dei cavalli, dal monte Testaccio fino alle falde dell’Aventino, ed il premio del vincitori erano trenta canne di panno rosato.
Fu Papa Paolo II, nel 1466, a trasferire il carnevale dai prati di Testaccio alla via Lata (che poi si chiamerà del Corso) che rimarrà fino alla metà dell’Ottocento il luogo centrale del carnevale romano. Il carnevale era un evento molto atteso: era il tempo della festa, dello spettacolo, del teatro ma soprattutto del sovvertimento dell’ordine sociale. Era il tempo in cui ci si poteva dimenticare della miseria e della crudeltà della vita e ci si poteva prendere gioco di tutto e tutti.
Nel XVII secolo lo scenario al Testaccio cambiò totalmente. Nel 1670 infatti, due signori romani, Domenico Coppitelli e Pietro Ottini, acquistarono circa duecento canne di terra, per motivi commerciali. Crearono dei grottini dentro al monte, per adibirli a cantine e osterie.
La pratica prese piede e in tanti aprirono locande dove la gente poteva bere e mangiare. Oggi quei grottini ospitano ristoranti, anche molto eleganti, in cui è possibile assaggiare le specialità testaccine.
Nel corso del XX secolo, e precisamente durante il secondo conflitto mondiale, sul Monte dei Cocci venne allestita una batteria antiaerea dotata di cannoni, che in seguito fu smantellata. Passeggiando sulla collina potrete riconoscerne i resti ancora visibili.
Se arrivate fino alla cima del Monte dei Cocci vi imbatterete in una croce. Qui terminava la via Crucis che partita da un edificio ormai scomparso nei pressi della Bocca della Verità.
Testaccio è uno dei cuori pulsanti della Capitale. Un famoso quartiere alla moda della Capitale, laboratorio di sviluppo urbano, all’avanguardia nella produzione culturale di Roma e centro della movida. Le grotte adibite anticamente a magazzini ospitano infatti bar e locali notturni affollati e trattorie tradizionali ma anche innovative.
Adesso Testaccio è un quartiere verace, dall’anima popolare e conosciuto come il quartiere operaio della capitale.
Ultimamente è stato riscoperto anche per l’archeologia industriale ed è il quartiere che rappresenta al meglio l’unione tra le antiche tradizioni romane e le nuove tendenze.
Nonostante la continua evoluzione, infatti il Testaccio è riuscito sempre a mantenere inalterato il suo spirito genuino, semplice e familiare, simbolo di cultura e romanità per eccellenza.
Ultimamente viene scelto per importanti set cinematografici ed è diventato laboratorio di sviluppo urbano, all’avanguardia nella produzione culturale di Roma.