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“Quel che non fecero i barbari fecero i Barberini”, verità ed antiche “fake news” sull’origine del detto romano

“Quel che non fecero i barbari fecero i Barberini”, verità ed antiche “fake news” sull’origine del detto romano.

Articolo di Rita Chessa.

 

“Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini“, ossia “quel che non fecero i barbari fecero i Barberini” è un detto spesso ripetuto a Roma.

Il motto compare per la prima volta in una “pasquinata” ossia una frase satirica associata a “Pasquino” la più celebre statua parlante di Roma. Fra il XVI ed il XIX secolo ai suoi piedi, o al collo, si appendevano nella notte fogli contenenti satire in versi. E diverse fonti attribuiscono il detto a monsignor Carlo Castelli, ambasciatore del Duca di Mantova.

 

Secondo una credenza diffusa, la frase si riferisce a decisioni prese dalla famiglia nobile che furono veri e propri sfregi per i monumenti di Roma, ma non tutti i racconti corrispondono del tutto alla verità.

Ad esempio spesso si racconta che per costruire il Baldacchino di San Pietro di Gian Lorenzo Bernini, il rivestimento di bronzo del pronao del Pantheon fu asportato e fuso nel 1625, sotto papa Urbano VIII.

In realtà il materiale fu massicciamente impiegato per il 99% nella realizzazione degli 80 cannoni di Castel Sant’Angelo e solo una piccola parte per il Baldacchino.
Invece, secondo la storica americana dell’arte Louise Rice, docente alla New York University e specialista del Seicento italiano, la versione dei fatti “fu appositamente confezionata dalla propaganda papale. Si trattò, insomma, di una falsa notizia costruita ad arte”. Si tratterebbe insomma, secondo la studiosa, di un’antica “fake news”.

Andando a leggere però il diario dello stesso Urbano VIII, conservato nella Biblioteca Apostolica Vaticana con il nome di Codice Urbinate 1647, si trova scritto: “Dalle lingue malediche e detrattori di fama contaminata fu decantato lo spoglio d’un ornamento antico, benché ciò sia stato vero di haver levato quel Metallo, ma estimato ancor bene e posto, per essere stata ornata la Chiesa de’ SS. Apostoli, e si è visto a tempi nostri sopra di questi Critici la maledizione di Dio, perché l’Agente del Duca di Mantova che fu Detrattore di aver affissi i Cartelli di quell’infame Pasquinata da famiglia Barbera ad Barberina, egli morse d’infermità e nel letto chiese perdono a Papa Urbano Ottavo”.

Carlo Castelli fece quindi una brutta fine e, morente, implorò il perdono del Papa, ma la sua “pasquinata” trova fondamento dal fatto che non furono poche le scelte sciagurate della famiglia di mecenati: una di queste la decisione di saccheggiare i marmi dal Colosseo per riciclarli nella costruzione di palazzo Barberini.

Lo storico del 1600 Giacinto Gigli scrisse che “il popolo andava curiosamente a veder disfare una tanta opera e non poteva far di meno di non sentir dispiacere et dolersi che una si bella antichità che sola era rimasta intatta dalle offese dei barbari e poteva dirsi opera veramente eterna, fosse ora disfatta”.

Nonostante gli errori e le malefatte, tuttavia i Barberini furono anche grandi mecenati e protettori delle arti, avendo inoltre preso sotto le loro ali artisti eccelsi come Gian Lorenzo Bernini, Francesco Borromini e Pietro da Cortona.