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Comunità ucraina a Roma, Basilica di Santa Sofia: la commovente raccolta di materiali per le vittime della guerra in un gioiello neobizantino

Comunità ucraina a Roma, Basilica di Santa Sofia: la commovente raccolta di materiali per le vittime della guerra in un gioiello neobizantino.

Articolo di Rita Chessa.

 

Ci siamo recati presso la Basilica di Santa Sofia a Roma, riferimento per la comunità ucraina della capitale. In questi giorni nella chiesa si sta organizzando la raccolta di utili da inviare a chi sta soffrendo. Centinaia di persone sono impegnate senza sosta ad impacchettare tutto ciò che generosamente viene donato da chi vuole contribuire in qualche modo all’emergenza.

Abbiamo incontrato Don Marco, uno dei responsabili del centro, ed abbiamo chiesto di cosa c’è carenza: “Manca di tutto e c’è bisogno soprattutto di materiali sanitari, chirurgici, medicine. Questo è l’elenco di ciò che serve”. Don Marco pronuncia queste parole e ci consegna una lista, che pubblichiamo, dei beni che possono essere offerti.

Entriamo in questo gioiello che fu progettato negli anni ’60 dall’architetto italiano Lucio Di Stefano sulla base dei piani originali per la costruzione della cattedrale di Santa Sofia a Kiev in stile neobizantino. Splendono i mosaici dorati dall’altare dell’artista ucraino Svyatoslav Hordynsky e spicca violenta questa contrapposizione tra bellezza dell’arte, l’orrore della guerra, l’altruismo delle persone che non vogliono il conflitto e che hanno risposto all’appello di aiuto: nel seminterrato della basilica, la sala parrocchiale per i fedeli ora è colma di pacchi e buste. Fuori è un continuo “viavai” di macchine e gente.

Nella piazza vi sono quattro gradini di marmo che conducono alla basilica. Essi rappresentano le quattro virtù cardinali: prudenza, giustizia, temperanza e fortezza, che nel contesto attuale assume un’impetuosa carica simbolica.

“Vorremmo che chiudessero lo spazio aereo ai bombardamenti” afferma Olha, una donna ucraina che lavora come volontaria nel posto. “Ho amici che ora sono sottoterra, ma dare la mia parte qui mi sta aiutando molto”. Ha gli occhi lucidi, arrossati e mentre pronuncia queste frasi ci investe un senso di impotenza e sgomento.

Nel frattempo che scriviamo i militari russi affermano di aver conquistato la città strategica di Kherson e secondo quanto riportato dalla Bbc, sono almeno 136 i civili uccisi finora, di cui 13 bambini, dall’invasione russa in Ucraina cominciata giovedì scorso. I morti reali potrebbero essere molti di più.

L’Italia ha approvato lunedì il decreto per l’invio delle armi a Kiev e questa è una decisione “senza precedenti” nella storia europea e fa impressione leggere alcuni versi medioevali de “Il canto di Igor”, un poema epico anonimo della letteratura ucraina e russa in antico slavo orientale: “O figli di Jaroslav e voi tutti nipoti di Vseslav! Tempo è di abbassare le insegne e di riporre nel fodero le logore spade. (…) Per le lotte intestine si scatenò la violenza dalla terra cumana!”

Scritto circa 1100 anni fa. Abbiamo, nel frattempo, imparato molto poco.