roma.vistanet.it

Cookery Rebibbia, la poesia del riscatto sociale. La tavola calda romana che dà lavoro ai detenuti

Cookery Rebibbia, la poesia del riscatto sociale. La tavola calda romana che dà lavoro ai detenuti.

Articolo di Rita Chessa

 

Roma, Metro B direzione Rebibbia. La voce registrata gracchia l’indicazione del capolinea verso il quartiere nella periferia nord-est della città, dove si trova la prima casa di Pierpaolo Pasolini. Il nome di questo luogo rimanda a Scipione Rebiba, uno dei più antichi vescovi del quale si conoscano con certezza i dati sulle ordinazioni episcopali.

 

Uscita dalla metropolitana incrocio il simpatico murale con un grosso mammuth grande 7 metri per 5 realizzato dal fumettista Zerocalcare nel 2014 che ci dà il benvenuto con la scritta: “fettuccia di paradiso stretta tra la Tiburtina e Nomentana, terra di mammuth, tute acetate, corpi reclusi e cuori grandi. Qui ci manca tutto, non ci serve niente”.

Il riferimento è al ritrovamento fatto negli anni ‘80 di alcune zanne dell’antico animale ritrovate in seguito a degli scavi archeologici nella zona vicino a Casal de’ pazzi.  Sempre a Rebibbia ci sono opere degli street artist Blu, Moby Dick, solo per citarne alcuni. Avrei voluto vederli tutti.

Oggi però ci rechiamo verso via Bartolo Longo 82, indirizzo del carcere, per andare a mangiare al “Cookery Rebibbia”, bar tavola calda che ha avviato da luglio 2021 un progetto interessante ed inclusivo in partnership tra la direzione dell’Istituto penale Rebibbia Terza casa e il Gruppo Cr.

Qui vi lavorano anche sette detenuti che oltre ad intraprendere l’avviamento professionale, vengono formati nel settore della panificazione.

“In questo modo possono costruire il proprio futuro all’insegna del riscatto sociale” afferma Giuliano Catarci, uno dei responsabili.

Ho assaggiato quindi una pizza deliziosa alle patate, il personale è cordiale, disponibile e professionale.

Mentre mangio pensiamo alla storia di questo impasto ed a coloro che lo hanno preparato. Già di per sé il pane viene realizzato secondo un procedimento ritualistico legato alle stagioni, è simbolo archetipico del lavoro dell’uomo e dell’immaginario iconografico religioso. Stavolta invece sembra di fare una comunione laica, è emozionante.

Se ci fosse un modo per poter riscrivere la sceneggiatura della propria vita è probabile che vorremmo, più che tornare indietro, avere altre possibilità per ricominciare. Ed è quello che avviene qui, dove si apprende un mestiere e si facilita il reinserimento sociale.

 

“’Cesare deve morire’ è stato un documentario meraviglioso dei fratelli Taviani con protagonisti i detenuti del carcere di Rebibbia che interpretavano Shakespeare diretti dal regista teatrale Fabio Cavalli” mi racconta Moreno, uno dei frequentatori del Cookery che si è offerto gentilmente di riaccompagnarmi alla metropolitana. “Appena torno a casa cercherò di vederlo, vado a nutrire anche l’anima” gli rispondo.