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Lo sapevate? Che cosa mangiavano gli antichi romani?

Lo sapevate? Che cosa mangiavano gli antichi romani?

(PRIMA PUNTATA) Altri tempi, le abitudini gastronomiche sono decisamente cambiate: ecco perché non è scontato chiedersi che cosa mangiassero i romani duemila anni fa. Qualcosa è rimasto, abitudini comprese, certo, ma le differenze, anche per gli innesti successivi di cibi e ingredienti nuovi (che arrivarono secoli dopo dalle Americhe o dall’Asia) sono sostanziali. Andiamo a vedere quali erano i piatti preferiti nella Roma repubblicana e imperiale.

A Roma e negli ambienti di influenza romana, venivano consumati tre pasti al giorno: jentaculum, prandium e coena.

Quello che sappiamo oggi ci arriva principalmente dal ricettario di Apicio, noto gastronomo di età imperiale, che scrisse il “De re coquinaria”, da qui possiamo trarre la maggiore conoscenza sulla cucina romana antica.

La colazione, detta jentaculum: si beveva il latte, e si mangiavano pane, formaggi, miele, frutta secca o, addirittura, gli avanzi della sera prima. Si consumava molto velocemente e i giovani prima di andare a scuola consumavano gli adipata (pasticcini).
In tarda mattinata si faceva un’altro spuntino veloce a base di pesce, pane, frutta, legumi e vino chiamato prandium. Corrispondeva, all’incirca, al nostro pranzo.

Il pasto importante avveniva, invece, nel tardo pomeriggio ed era la coena, in cui spesso il piatto forte era la carne.
L’ingrediente principale della cucina romana era il “garum” una sorta di salamoia molto raffinata, costosa e difficile da trovare. Il pepe, il cumino e il ligustico erano le spezie più utilizzate e i “piatti forti” erano a base di carne, principalmente il maiale.
Una caratteristica peculiare della cucina dell’antica Roma era l’accostamento di sapori contrastanti: il dolce con il piccante, il dolce con il salato o il dolce con lo speziato. Gusti e sapori particolari: chissà se ai nostri giorni le ricette del famoso cuoco Apicio avrebbero così tanto successo. Per i romani del tempo erano molto raffinate e appetitose.


La maggior parte della popolazione, che non era ricca, faceva consumo di pasti molto più semplici. Il popolo consumava principalmente pietanze a base di cereali, legumi e frutta, con poca carne e sicuramente non poteva permettersi di svolgere la cena nei “triclinia”, né tantomeno sdraiata sui comodi letti/divani, come facevano ricchi e patrizi, molti dei quali protraevano le loro cene anche sino all’alba, con largo consumo di vino. Lo svantaggio era quello di mangiare meno, con meno apporti energetici, vitaminici e proteici. Il vantaggio invece era quello di mangiare, probabilmente, in modo più sano senza l’uso di condimenti come il “garum” e senza il consumo eccessivo di carne che spesso, nei ricchi provocava la malattia della gotta.

Le carni più amate dai romani erano il maiale da latte, l’agnello, il capretto, pollo, asino, cinghiale, fagiano, pavone e, incredibile ma vero, il ghiro. La selvaggina era frollata e speziata. Le carni venivano stracotte, per renderle molto morbide. La prima volte nel latte. Il pesce fresco era per i ricchi, quello essiccato e conservato per il popolo.
Come accennato spesso i sapori erano agrodolci, ecco perché per miscelare veniva utilizzato spesso il miele.

Molto graditi i funghi con miele, la carne di piccione con i datteri e le pesche marinate.
Grande importanza rivestiva la convivialità: il banchetto spesso presentava risvolti religiosi e sacri.

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