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Lo sapevate? A Roma ci sono ancora le targhe dei “mondezzari”, di che cosa si tratta?

Lo sapevate? A Roma ci sono ancora le targhe dei “mondezzari”, di che cosa si tratta?

 

Tra la metà del 1600 e il 1800 inoltrato prese piede la regola dell’amministrazione di allora di far appendere le targhe dei “Mondezzari” (molte delle quali, una sessantina circa, si sono conservate) agli angoli dei palazzi. Si trattava di cartelli di divieto realizzati in marmo e recavano (e ancora recano) iscrizioni che vietavano di depositare immondizia nel luogo in cui erano apposti.

Nel cuore di Roma si contano ancora oggi 67 targhe superstiti, datate tra il 1646 e il 1790, oltre a una decina di divieti specifici in prossimità di chiese, fontane e palazzi.

Roma da secoli è una grande città e il problema dei rifiuti è sempre stato all’ordine del giorno. Quando la città cominciò a crescere, soprattutto nei secoli dell’Impero e successivamente, sino ai giorni nostri, la preoccupazione dello smaltimento dei rifiuti è sempre stato cronico. Scopriamo insieme come le amministrazioni passate cercavano di fare fronte a questo atavico grattacapo, con qualche elemento curioso, come ad esempio la nascita delle cosiddette “targhe dei mondezzari” della Roma Papale.

 

Lo smaltimento dei rifiuti nell’antica Roma dalle fonti non sembra costituire un problema di primo piano per i governi degli inizi dell’età repubblicana. I rifiuti in genere non si accumulavano in discariche poiché si cercava di riciclare ogni tipo di materiale di scarto: gli alimenti non consumati servivano da mangime per gli animali, le ceneri usate per il lavaggio dei tessuti, gli escrementi utilizzati come letame e gli oggetti di metallo recuperati.

Ma a mano a mano che la città si avviava a divenire una metropoli, che in epoca imperiale arriverà a contenere più di un milione di abitanti, la necessità della raccolta dei rifiuti divenne invece sempre più importante. Un esempio importante a questo proposito è il Mons Testaceus (Monte Testaccio), un monte artificiale, alto circa trenta metri, con una circonferenza di un chilometro e una superficie di circa 20.000 metri quadrati, formatosi con l’accumularsi dei cocci delle anfore sbarcate nel porto fluviale dell’Emporium e immagazzinate nei vicini horrea.

Le anfore scaricate e vuotate del contenuto venivano poi quasi totalmente eliminate e ciò che restava veniva riusato nelle attività commerciali o nell’edilizia.

Un sussidio alla eliminazione dei rifiuti era dato dalla rete di cloache che, tramite l’acqua in eccesso proveniente dagli acquedotti, permetteva di scaricarli nel Tevere, che di solito veniva usato per buttarvi direttamente ogni genere di rifiuti. Così come accadeva che nei quartieri popolari, nelle insulae, rifiuti d’ogni tipo venissero gettati dalle finestre in strada senza curarsi della pulizia o degli incidenti che potevano capitare a chi passasse. Le prime forme di regolamentazione vennero applicate durante il periodo imperiale e Vespasiano  fu uno degli imperatori più sensibili al problema. Ma i guai andarono avanti nei secoli e durano tuttora. Nella Roma Papale, tanto il popolino quanto per la servitù delle famiglie più ricche, era una comune abitudine disfarsi quotidianamente delle immondizie domestiche semplicemente portandole in strada o in piazza e abbandonandole al primo angolo (attirando gatti e cani randagi), dove venivano portate via talvolta anche dopo settimane. Il fango e gli escrementi equini invece venivano puliti una volta ogni otto giorni dai galeotti. Il fetore spesso era veramente insopportabile.

Poi nel 1600 (sino al 1800) arrivarono le targhe dei “mondezzari”.

Nei cartelli si faceva riferimento all’autorità competente che di solito era costituita dal prefetto detto “Presidente delle Strade” che, in quanto autorità dello Stato della Chiesa, era sempre un Monsignore.

Oltre alle eventuali pene pecuniarie o corporali a cui sarebbero stati soggetti i trasgressori, veniva citato l’editto in cui si sanciva il divieto e la data di affissione della targa. Generalmente la lingua di questa tipologia di targhe è l’italiano (spesso con una punta di romanesco), anziché in latino, normalmente utilizzato per tutte le targhe di epoca pontificia.

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