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Detti e modi di dire romaneschi: fare “caciara”

Detti e modi di dire romaneschi: fare “caciara”.

Perché si dice fare “caciara”? Un’altra parola (che rientra in molte varianti di frasi) tipica della parlata romanesca che si è talmente diffusa da averla sicuramente sentita anche in altre parti d’Italia, tanto da essere entrata nel vocabolario della lingua italiana. L’origine del termine romano è da ricercare nelle abitudini dei pastori dell’Appennino del centro Italia, tra Lazio, Abruzzo e Molise.

Letteralmente fare una “caciara”, in dialetto romanesco significa fare chiasso, confusione. A Roma “buttarla in caciara” può voler dire anche che il filo del discorso è poco chiaro, fare comunque un casino.

La voce caciara nel significato di confusione è attestata in romanesco solo in tempi piuttosto recenti (dalla fine dell’Ottocento). È documentata per la prima volta nel Vocabolario romanesco di Filippo Chiappini, che morì nel 1905.

“Caciara” nei dizionari di lingua italiana viene accostato alla parola “caciaia”, una costruzione che i pastori dell’Appennino centrale costruivano sino al secolo scorso per far stagionare i formaggi e sistemare le provviste, gli attrezzi e ripararsi in caso di maltempo, oltre naturalmente a far stagionare i formaggi. Luoghi semplici e veloci da realizzare, magari tra una transumanza e l’altra, alla ricerca dei pascoli migliori. Le caciaie erano luoghi molto semplici, simili ai trulli pugliesi ma più piccoli, o ai nuraghi e i cuiles o pinnettas (le capanne dei pastori) sardi. La struttura è costituita da pietre appena sbozzate, messe insieme senza l’ausilio di malte, collanti o cementi.

Che cosa c’entra quindi questo termine con il “fare chiasso”, “fare caos”? Che affinità esiste tra questo significato e l’edificio dei pastori?

Prima interpretazione: la “caciara” è una deformazione dialettale del termine italiano “gazzarra” che voleva dire appunto “chiasso”.

Altra affinità: nelle caciaie spesso, tra un bicchiere e l’altro, scoppiavano delle violente liti tra pastori, talvolta per questioni di furti, da lì l’espressione finirla “in caciara”. Un’ultima interpretazione, comunque molto importante, è legata al ruolo significativo che il caciaro svolgeva. Questi provvedeva ogni mattina alla sveglia della comunità, uscendo dalla capanna e battendo ritmicamente con un bastone sul fondo di un secchio (il cosiddetto battisecchio).
Nel dialetto urbano, la nozione di ‘rumore, confusione’ venne però associata non più all’agente (il caciaro che praticando il battisecchio per la sveglia mattutina faceva rumore), bensì al luogo.

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