Tutto ciò che non sapete sui Tazenda in questa intervista: il “dietro le quinte” della loro band
Quanto sapete davvero sui Tazenda? Il gruppo etno-pop rock italiano, attivo dal 1988, è ormai molto conosciuto anche al di fuori della nostra regione, la Sardegna. Ma noi abbiamo avuto il piacere di intervistare Gino Marielli, che ci ha raccontato qualche curiosità inedita sulla loro storia musicale, e non solo: scopriamole insieme
I Tazenda sono da tempo, ormai, famosissimi anche al di fuori della nostra regione, la Sardegna. Il loro gruppo etno-pop rock italiano si è formato ufficialmente nel 1988 ed era originariamente composto da Andrea Parodi, Gigi Camedda e Gino Marielli. Dal 2013 subentra Nicola Nite alla voce, dopo un’accurata selezione svolta online, tramite il loro sito. La band può contare anche su varie collaborazioni con altri cantanti, artisti e musicisti noti, come – solo per citarne alcuni – : De André, Renga, Grignani, Ramazzotti.
Abbiamo intervistato Gino Marielli, che ci ha raccontato qualche aneddoto sulla loro storia musicale, e non solo.
Il vostro gruppo è conosciuto a livello nazionale. Tante canzoni sono già note e apprezzate dal grande pubblico. Vorremmo quindi scoprire qualche curiosità – magari inedita – sulle origini e la formazione della band. A chi è venuta l’idea iniziale? Quali erano i valori fondanti? Quali, invece, le paure che hanno preceduto il successo?
Innanzitutto, non nasciamo come una band, ma un gruppo musicale che si è sciolto, “Il coro degli angeli”: siamo rimasti in ottimi rapporti con gli altri, ma tra me Gigi e Andrea c’era un’intesa superiore. Capitò che Mogol chiamò Andrea per chiedergli di intrattenere il pubblico alla fine delle serate delle nazionali dei cantanti. Inizialmente volevamo rifiutare, perché non era nostra intenzione suonare con un pubblico di cantanti come Morandi, Ramazzotti, Zucchero. Però poi abbiamo accettato, perché era un’opportunità per farci conoscere veramente dal gota della musica Italiana. Inoltre, avendo sciolto il gruppo originario, avevamo anche bisogno di soldi, non sapevamo come sarebbe andata in quel periodo a livello economico. Non avevamo nemmeno una scaletta o un repertorio, quindi abbiamo messo semplicemente insieme dei pezzi che venivano bene e un po’ di novità. Quando siamo arrivati, Mogol ci ha chiesto: “Come vi chiamate?”, e noi abbiamo risposto semplicemente: “Andrea, Gino e Gigi!”. È stato in quel momento che abbiamo pensato a un nome che inizialmente avrebbe dovuto essere provvisorio. All’epoca, io avevo prestato un libro a Gigi, la “Trilogia della Fondazione” di Isaac Asimov, lui si era appassionato, così aveva pensato a tre nomi tratti da questi racconti: Terminus, Trantor e Tazenda.
Qualche caratteristica di ognuno di voi, che vi contraddistingue e rende unici come singoli elementi del gruppo?
Le caratteristiche sono tante, ma se vogliamo fare una sorta di “suddivisione”, Nicola, ad esempio, è il più piccolo ed è l’anima pop; lui è un vero cantante pop, ama la semplicità, ed è un ottimo polistrumentista. Gigi ha un carattere molto focoso, ama la musica potente, chiara da capire, il pop – rock che funziona bene. Controlla le classifiche, le hit, si interessa della musica moderna e di ciò che succede nel mondo. È un tuttologo: legge tanto e ha molte idee. È tanto chiacchierone ed estroverso. Non posso parlare di me, ma posso raccontare quello che dicono gli altri: mi immaginano come un poeta mistico, chiuso nella sua interiorità, in realtà non è proprio così. Sono uno sportivo, fino a qualche anno fa partecipavo alle gare di atletica leggera e ho vinto tanti titoli sardi. Amo anche il calcio, tifo come un matto. Però ho una fissazione, da sempre, per la ricerca del senso della vita, è vero, per la spiritualità. Il mio tratto distintivo è la creatività, non riesco a partecipare a un qualcosa senza pensare a come migliorarlo o come ricrearlo a mia volta. Tutto è nato quando ero molto piccolo: mia madre mi stava interrogando su una poesia, aveva li libro in mano, io ho recitato la poesia a memoria, ma quando è finita ho continuato. Lei ha girato la pagina per cercare il resto, ma l’avevo inventata. Era una sorta di freestyle ante litteram. Come gruppo, la nostra caratteristica è quella di ricercare sempre un impatto forte e facile: vogliamo che la gente si diverta, un intrattenimento che allo stesso tempo dimostri che dietro quella voglia di far ballare c’è altro. Se riusciamo ad accendere qualche piccola riflessione sui nostri temi cari, come la pace, il rispetto dei più deboli, le differenze, la salvaguardia del rispetto per le donne e per i coloro che subiscono di più, allora abbiamo raggiunto il nostro scopo. Ma queste tematiche non le facciamo pesare, vogliamo evitare che “intristiscano” lo spettacolo. Devono solo essere delle luci accese su un divertimento che rilascia comunque il suo messaggio.
Come avete vissuto le collaborazioni con artisti esterni al gruppo?
Per quanto riguarda le collaborazioni esterne, possiamo affermare di essere sempre stati invitati dagli altri. Quando abbiamo provato noi a cercarne, qualche volta, ci hanno rifiutato. Quindi ce ne stiamo buoni e aspettiamo. Sono stati tutti fantastici, comunque, e hanno determinato le pietre miliari della nostra carriera. Le collaborazioni con De André, Renga, Grignani, Ramazzotti, Bertoli, i Modà, sono state tutte bellissime, ognuna avrebbe bisogno di un’intervista a parte.
Come prosegue la vostra attività artistica oggi?
La nostra attività artistica oggi è molto diversa da quella degli inizi. Adesso abbiamo un team, un ufficio con delle persone che lavorano per noi: Luca Parodi cura tutto il management, Salvatore Fresu si occupa del tour managment ed è responsabile della comunicazione, poi abbiamo qualche ragioniere e commercialista che ci aiuta a non fare casini. Siamo una piccola azienda. Così noi, nel mentre, possiamo tenere la nostra “testa tra le nuvole”, dedicarci alla musica e cercare di capire come saremo nei prossimi anni. Questo è molto stimolante.
Infine, che consigli date a chi vorrebbe intraprendere il vostro percorso?
Allora, dare consigli non si usa più. Quindi vi consiglio di non dare consigli. È un paradosso, lo so, perché il consiglio in realtà ha una grande importanza, ma è più efficace nel momento in cui è un esempio. Quindi, raccontare la nostra storia di ragazzini sfigati di provincia che riescono ad arrivare a Sanremo e ottenere dischi d’oro, di platino e suonare in tutto il mondo, è un esempio che se raccontato diventa un consiglio. Allo stesso tempo, continuare e invogliare gli altri a fare musica è un’arma a doppio taglio: noi sappiamo che veramente uno su mille ce la fa, sono tanti i musicisti e cantanti molto bravi e competenti, i giovani di oggi sanno fare un po’ tutto, ed è molto difficile emergere. Però vi dico che il piano B non va bene: se tu pensi di voler fare il musicista e ottenere successo, non puoi pensare nel frattempo di lavorare nell’azienda di babbo, per esempio. Così allontani la tua fiducia da quello che è l’obiettivo. Noi avevamo deciso di essere senza “rete”: Andrea si era licenziato, nessuno di noi aveva altri lavori, quindi per mangiare eravamo obbligati a perseguire il nostro sogno. Comunque, non è questo che consiglio, ci può essere una via di mezzo. Il musicista di oggi può vivere di musica felicemente senza essere di successo: può insegnare a scuola, in privato, essere un produttore e avere un piccolo home studio a casa, può fare lezioni online e partecipare alle serate, in modo da campare coltivando il suo sogno. L’importante è che non ci si dimentichi che il sogno è lì e ti può dare una soddisfazione molto di grande di quei soldi che si riescono a guadagnare facilmente con attività collaterali. Devi però capire se tu sei un musicista o un artista. Non è che artista sia meglio. Il musicista ha un grande ventaglio di possibilità, lavorando con tanti artisti di tutto il mondo. Ma l’artista rischia su se stesso, proponendo le proprie cose. È molto più difficile, chiaramente, ma si hanno più soddisfazioni.
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