Antichi mestieri che sopravvivono: il giovane calzolaio villagrandese Nicola Mighela ci racconta della passione per questo lavoro
Il villagrandese Nicola Mighela, classe ‘94, ha deciso di portare avanti la tradizione sarda facendo, con impegno e determinazione, il calzolaio. Andiamo a vedere meglio di cosa si occupa
Tra i mestieri che stanno – purtroppo – andando scomparendo, ce ne sono alcuni veramente affascinanti, che racchiudono storia, duro lavoro e passione isolana: il villagrandese Nicola Mighela, classe ‘94, ha deciso di portare avanti la tradizione sarda facendo, con impegno e determinazione, il calzolaio.
«Ho deciso di provare perché non c’era quasi nessuno che lo facesse» dice il villagrandese, che all’inizio studiava ancora per conseguire il diploma.
Il primo step? Andare da chi questo lavoro lo faceva da anni in modo da imparare le basi.
«Mi sono procurato i primi macchinari e sono andato a fare visita ad altri calzolai, che mi hanno spiegato come iniziare. Per il resto, si impara lavorando. Oltretutto, è un lavoro dove ogni giorno si scoprono nuove cose, non si può mai dire di sapere tutto. Si migliora, anzi, si deve migliorare sempre.»
Principalmente, la produzione riguarda scarpe, ma poiché la pelle si presta a infinite produzioni, Mighela confeziona anche cinte, finimenti per cavalli e collari per animali con campanaccio annesso. Ecco, la regola è comunque di non fare troppe cose, o si finisce per non essere abbastanza precisi: «Bisogna scegliere qualcosa e diventare bravi in quello.»
Per quanto riguarda la parte più complicata del lavoro, be’, il 28enne è chiaro: «Tutte le scarpe sono diverse, perché diversi sono i piedi. Se mi chiedono di una certa scarpa un numero quaranta, per esempio, io non ci lavoro a occhi chiusi: prima misuro il piede, poi confeziono. Sono scarpe che costano, quindi non ci si può permettere di sbagliare. Ci vuole anche molta abilità per capire la forma della scarpa in modo che si adatti perfettamente a chi compra.»
Nicola Mighela, poi, non ha ceduto al fascino della modernità: «Ho comprato i macchinari elettrici, ma li trovavo scomodi. Così lavoro a mano e con le macchine a pedale, quelle antiche. È così che ho imparato, così che continuo.»
La cosa buona è che si risparmia nelle bollette, soprattutto in questi tempi un po’ bui. «La crisi non mi ha colpito più di tanto, grazie al cielo – essendo uno dei pochi rimasti – lavoro. Arrivano clienti da tutta l’Isola. Il passaparola poi è importante: quando una persona è contenta di un lavoro, ne parla: questa è l’arma più potente che si ha.»
Anche gli aumenti sono stati importanti, ma non insopportabili, come spiega.
E speriamo che mestieri come questo sopravvivano più possibile, anche solo per ricordarci che modernità non è assenza di passato, ma rispetto di quest’ultimo.
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