Grande scoperta: a Pompei sequenziato il Dna di un uomo sardo, vittima dell’eruzione del Vesuvio

Aveva fra 35 e 40 anni, soffriva di una malattia simile alla tubercolosi ed era probabilmente originario della Sardegna: della scoperta si parla sulla rivista Scientific Reports
Aveva fra 35 e 40 anni, soffriva di una malattia simile alla tubercolosi ed era probabilmente originario della Sardegna.
Per la prima volta in assoluto è stato possibile leggere il Dna di uno degli abitanti di Pompei vittime della disastrosa eruzione del Vesuvio del 79 d.C. Il risultato, pubblicato sulla rivista Scientific Reports, dimostra che è possibile recuperare Dna antico dai resti umani di Pompei, aprendo la via alle ricerche in questa direzione.
“Il Dna era molto degradato, ma siamo riusciti comunque a estrarlo”, ha detto all’Ansa il coordinatore della ricerca Gabriele Scorrano, dell’Università danese di Copenaghen e dell’Università di Roma Tor Vergata.
L’eruzione del Vesuvio aveva raggiunto l’uomo mentre si trovava nella Casa del Fabbro in compagnia di una donna più anziana, sui 50 anni, per la quale non è stato possibile fare un’analisi genetica. Grazie alla disponibilità del Parco Archeologico di Pompei, i ricercatori hanno potuto analizzare i due scheletri. “Il loro stato di conservazione era ottimo, non devono essere venuti a contatto con temperature troppo elevate”, ha spiegato Scorrano ad Ansa.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Seui, il mito de su “Pascifera”: lo “Spirito” dei boschi che proteggeva gli animali selvatici dalla cattura

Un essere fantastico protettore degli animali selvatici dei boschi, su “Pascifera” è un mito arrivato fino ai nostri giorni, ancora raccontato dagli anziani del paese di Seui.
Un essere fantastico protettore degli animali selvatici dei boschi, su “Pascifera” è un mito arrivato fino ai nostri giorni, ancora raccontato dagli anziani del paese di Seui. Molto probabilmente collegato a qualche antico retaggio culturale, memoria di qualche divinità dei boschi venerata in epoche remote, c’è chi sostiene un collegamento con la Dea Artemide della mitologia greca.
Se analizziamo il nome arrivato fino ad oggi, anche se potrebbe avere avuto modifiche nel tempo, letteralmente su “Pascifera” ha il significato di conduttore/pastore di animali selvatici: da “pasci” (pascolare/condurre), e “fera” (selvaggina/animale selvatico).
Uno “Spirito” in sinergia con i boschi, le acque, e gli animali delle foreste sarde. Una sorta di “pastore di selvaggina” invisibile, capace di proteggere i branchi di mufloni delle vallate del Gennargentu e di tutti gli animali selvatici che correvano il rischio di essere catturati dall’uomo. Sotto la sua protezione, gli animali erano immuni dalle armi e da altri pericoli. Era quindi una sorta di sentinella conosciuta dagli anziani cacciatori che hanno tramandato il mito ai più giovani. Insegnavano loro ad aspettare l’attimo giusto in cui l’essere sovrannaturale si distraeva, per poter fare dell’animale selvatico la propria preda.
Ritornando ai giorni nostri, la protezione di “Pascifera” qualche volta è ancora citata da qualche cacciatore, magari più per giustificare un colpo di fucile “poco fortunato” che per convinzione dell’esistenza dello “Spirito” dei boschi. Racconti di antichi capi caccia, figure che in passato potevano essere ricoperte da persone stimate all’interno della comunità, dotate di valori umani e qualità venatorie fuori dal comune, rimandano al mito de su “Pascifera”, di cui nutrivano un alto rispetto.
Foto di Roberto Anedda
© RIPRODUZIONE RISERVATA