Questa sera alle 17 presso la piazza della scuola a Girasole, sarà presentato il libro di Frederic Erminio Todde: “Cento e più Ogliastrini nella guerra di Spagna 1936-1939”.

Il rappresentante di commercio, grande appassionato di storia ed eventi bellici, ha aperto una breccia su un periodo quasi dimenticato sulle vicende di tanti ogliastrini che parteciparono a questo conflitto, scaturito dalle conseguenze del colpo di stato del luglio del 1936, che videro contrapposte le forze nazionaliste a quelle del governo della Repubblica spagnola.

«Tutto è iniziato nel 2014 – racconta Todde – quando iniziai ad appassionarmi alla guerra di Spagna. Sono partito da un autobiografia di mio nonno Erminio Todde classe 1913, e attraverso questi scritti mi resi conto che di questo conflitto non ne sapevo nulla e iniziai a documentarmi».

«Sono entrato in collegamento con storici della guerra di Spagna – continua lo scrittore – sia italiani che spagnoli. Questo mi ha permesso di avere accesso a documenti che da solo non sarei mai riuscito ad ottenere. Inizialmente pensai ad un libro su mio nonno ma poi mi resi conto di aver trovato tante notizie sui sardi e nello specifico di ogliastrini».

Legionari ogliastrini in piedi da sinistra: soldato originario di Gairo, Villagrande Strisaili, sconosciuto, Loceri, e in basso Talana.

L’opera di Frederic è scevra di qualsiasi connotato politico, ma nasce dal suo desiderio di mettere in luce il vissuto e le condizioni di questi soldati ogliastrini, vissuti in un’epoca in cui in molti scelsero di arruolarsi per sfuggire a una condizione di vita durissima della Sardegna dell’epoca.

«Iniziai a raccogliere tutti i dati su di loro e ad informarmi in ogni paese della zona – spiega Todde – su possibili familiari che avevano ricordi sia orali che fotografici. Convinto di trovare la storia di circa 25 persone, alla fine raccolsi la storia di oltre 150 ogliastrini che parteciparono alla guerra di Spagna, senza distinzione politica. La mia è una ricerca non di parte, anche se poi vi furono solo 9 antifascisti della nostra provincia e tutti gli altri che si arruolarono nel Regio esercito».

Foto ricevuta da famiglia di Tertenia. Soldato ogliastrino sconosciuto, probabilmente un sergente.

Un lavoro duro, ma ricco di soddisfazione quello dello scrittore: «Questa ricerca mi ha permesso di entrare a contatto con tanti anziani e di trovare informazioni che la stragrande maggioranza dei familiari non sapevano. Da questi incontri con persone da me inizialmente sconosciute sono nate poi altre iniziative».

Un lavoro non concluso quello dell’autore del libro, in quanto sono in tanti che lo stanno contattando per segnalare la presenza di parenti o conoscenti nel conflitto spagnolo. Dietro questa pagina triste della storia europea, che si lega alle vicende di tante famiglie ogliastrine, non mancherà la passione e la dedizione di Todde per riportare alla luce antiche memoria sconosciute o dimenticate.

Dunque oggi un appuntamento da non perdere a Girasole, con la presentazione di Pasquale Zucca, per la prima fatica letteraria di Frederic, alla quale ne seguiranno tante altre in giro per i 23 paesi ogliastrini.

La storia di Francesco Serra, noto “Chicheddu”, di Talana è una storia molto dolorosa.

Aveva appena quattro anni quando scomparve dalle campagne del paese, il 30 marzo del 1928. Questa vicenda anche se sono passati oltre novant’anni è ancora capace di mettere i brividi, e nessuno avrebbe potuto immaginare quello che realmente fosse successo, se non quando “Chicheddu” fece rientro nella sua terra natia, quarant’anni dopo.

Il bimbo di Maria Agostina e Anania, fu rapito quel giorno di primavera, per poi passare in mano a dei cammellieri del Nord Africa che infine lo vendettero a una tribù di beduini nomadi.

Questi praticavano l’allevamento e vivevano nell’oasi di Cufra nel deserto della Libia, dove il piccolo Annuf – il nome scelto dai suoi nuovi genitori per il bimbo ogliastrino – affrontò un’infanzia dura e di stenti. Una sorte diversa dagli altri due figli della coppia, che “Chicheddu” non ricordando il suo passato, pensava fossero suoi fratelli.

Ma un giorno, il ragazzo conobbe la verità dalla nonna beduina, l’unica persona che gli aveva dimostrato affetto in quel luogo, in punto di morte. Con le ultime forze e un filo di voce, l’anziana Fatma gli rivelò che non era figlio di Alì e Uarda, ma era stato rapito in Italia e poi venduto. Gli restituì una medaglietta che “Chicheddu” portava al collo quando giunse in Africa, nella quale c’era inciso un nome, Giuseppe Di Bello, e gli consigliò di fuggire.

Il ragazzo, a quelle parole, si diresse nel deserto dove unendosi a un gruppo di carovanieri arrivò in Egitto. Qui incontrò un plotone di soldati inglesi diretti a Tripoli, a cui raccontò la sua storia, che lo presero con loro, ma la malasorte era ancora in agguato.

Infatti dopo oltre un migliaio di chilometri, arrivati a Misurata, i militari britannici mentre allestivano l’accampamento saltarono in aria. Il terreno scelto era un campo minato, ma il destino volle che “Chicheddu” e un soldato inglese si salvassero miracolosamente.

L’ogliastrino giunto a Tripoli, dopo varie peripezie, riuscì a imbarcarsi per l’Italia su una nave mercantile – da clandestino – grazie all’aiuto di un commerciante lombardo.

Approdato in Sicilia, qui gli vennero prese le impronte digitali e scattate le foto segnaletiche, ma non fu trovato niente di utile per risalire alla sua identità. Intanto Annuf fu ribattezzato Giuseppe Di Bello, in terra sicula fu da subito accolto con tanto affetto e il vescovo di Siracusa si impegnò a fargli avere un’identità fittizia.

Passarono gli anni, ma in “Chicheddu” cresceva la volontà di conoscere quali fossero le sue origini, nonostante nel frattempo si fosse sposato con Anna Barbagallo, una giovane siciliana che sposò nel 1962.

L’uomo così si rivolse al periodico Famiglia Cristiana, e dalle pagine della rivista lanciò un appello per scoprire quale fosse la sua vera identità. Il tentativo non andò a buon fine, ma Giuseppe – come si chiamava all’epoca – non cedette e contattò la testata giornalistica Stop.

Una copia del giornale, sulla quale era presente una fotografia dell’uomo, arrivò fino a Talana e venne letta dai fratelli Serra che  riconobbero il familiare per un particolare anatomico.

Michele Serra, più anziano del fratello scomparso, nel 1966 si recò a Siracusa per un incontro. A questo ne seguì un secondo a Roma e il 25 settembre del 1967.

In seguito per “Chicheddu”, dopo quasi 40 anni il rapimento, ci fu il tanto atteso ricongiungimento con la famiglia nel paese ogliastrino. Il bimbo scomparso diventato uomo, fu accolto calorosamente da tutta la comunità talanese e immediatamente gli ritornarono alla mente dei dettagli del piccolo borgo che nessuno poteva sapere, se non fosse nato in quel luogo e vissuto negli anni venti.

Infatti ricordava dei particolari, che ristrutturazioni successive, avevano reso mancanti nella fontana “Sa Carrera”. Inoltre anche quando menzionò l’usanza di appendere le carcasse degli animali macellati al grande leccio del paese, nessuno ebbe più dubbi che si trattasse del bimbo scomparso nel lontano 1928.

Purtroppo, “Chicheddu” al suo ritorno non ritrovò l’abbraccio tanto sperato del padre e della madre, il primo morto da tempo e la seconda appena pochi anni prima. Questa però non si rassegnò mai al fatto che fosse deceduto e sentiva nel profondo del suo cuore che fosse in vita, tanto da farsi promettere dai propri figli, in punto di morte, di non perdere mai la speranza di ritrovarlo.

Solo nel 1973, la Corte d’appello di Cagliari sancì in maniera definitiva l’identità dell’uomo. Per arrivare a questo risultato la famiglia d’origine si batté con tenacia nelle aule di tribunali e “Chicheddu” si sottopose a tanti esami medici.

A tal proposito una perizia fu decisiva, quando ancora l’analisi del DNA non esisteva, nella quale fu riscontrata una particolare patologia di cui soffriva tutta la famiglia Serra anche all’uomo dall’accento siciliano. Questo risultato sancì che si trattava davvero del bimbo scomparso.

Francesco Serra per una decina d’anni visse a Cagliari, ma venendo a mancare il lavoro, fece ritorno a Siracusa, dove è deceduto nel 2011. “Chicheddu” ha sempre mantenuto però un forte legame con i familiari rimasti a Talana e sentiva un grande attaccamento con la sua terra natia, la Sardegna.

L’Amministrazione comunale di Talana, qualche anno fa, ha voluto ricordare la vicenda del proprio compaesano con varie iniziative, per non dimenticare e tramandare ai posteri questa incredibile storia di resilienza.

Non si è mai saputo chi sia stato a strappare il bimbo ogliastrino alla propria terra e alla sua famiglia.