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Coronavirus e teatri chiusi. “Ancora una volta il sacrificio della cultura”: la parola agli operatori dello spettacolo ogliastrini

Silvia Cattoi, Antonio Ghironi, Susanna Mameli

Diceva Albert Camus: “La bellezza, senza dubbio, non fa le rivoluzioni. Ma viene un giorno in cui le rivoluzioni hanno bisogno della bellezza.” 

 

Il nuovo DPCM chiude i teatri e destabilizza ancora una volta il mondo della cultura, già nei mesi passati lontana dai dibattiti più caldi. Perchè la cultura nel nostro Paese non gode di buona salute da ben prima della pandemia.

I lavoratori dello spettacolo, infatti, sono stati per l’ennesima volta ignorati. Eppure, secondo un’indagine ISTAT, gli occupati in questo settore nel biennio 2017-18 erano circa 142mila, tra professionisti del settore e altri lavoratori a loro legati come fonici, tecnici, elettricisti, allestitori, artigiani, impiegati.

Ne parliamo oggi con chi della cultura ha fatto un mestiere e che, ancora una volta, si trova a fare i conti con un provvedimento che, dati alla mano, pare ingiusto. Anche perchè i “luoghi” della cultura in questi mesi si sono rivelati tra i più sicuri. La parola a Silvia Cattoi, Antonio Ghironi e Susanna Mameli, da tanti anni alla guida di compagnie teatrali e associazioni culturali.

 

 

«Ne sono state dette tante di parole in queste poche ore dal nuovo decreto. Io sono rimasta senza – esordisce Silvia Cattoi, della compagnia ogliastrina Rossolevante – Il mio pensiero, ma questo è da marzo, va a tutti coloro, di tutte le categorie lavorative, che sono veramente, ma veramente in difficoltà. Qualcuno lo conosco.  Quando uno Stato abbandona i più deboli niente ha più senso. Non si è visto nessun tipo di aiuto concreto. E questo ultimo colpo è duro, anche perché non siamo delle lampadine che puoi accendere e spegnere con un interruttore. Questo Covid è come una lente d’ingrandimento, tutti i nodi sono venuti al pettine. Che la sanità era un disastro già lo sapevamo, che la scuola era un mezzo disastro già lo sapevamo, che la cultura in questo paese non è tenuta in minima considerazione già lo sapevamo.  Perciò non ci sono più molte parole. Le ultime le rubo a Mariangela Gualtieri: “O tutti quanti o nessuno.”».

Sulla stessa linea di pensiero Antonio Ghironi, al timone dell’associazione ogliastrina Simul: «Il sacrificio della cultura è da sempre visto come il male minore. Nelle situazioni di emergenza l’aspetto ludico-creativo, di rappresentazione dello spettacolo, viene considerato da un potere cieco un “di più” del quale fare a meno in nome della presunta salvezza del mondo. Ci si dimentica però che la cultura è innanzitutto uno dei settori più vivi dell’economia italiana, in cui operano artisti, tecnici, operai di varie professionalità che vivono dei compensi derivanti da queste attività. Per tanto, quando si chiude un teatro non si mette il lucchetto a una sala divertimenti, ma si sbatte in faccia la porta a centinaia di migliaia di famiglie, demonizzando dei luoghi in cui l’applicazione delle norme permette di minimizzare al massimo il rischio di contagio, mentre gli ammassamenti dovuti ai disservizi pubblici sono all’ordine del giorno e la sanità ridotta all’osso dallo sbranamento della politica è una delle realtà più tristi e la causa dominante del massacro a cui stiamo assistendo. Senza trascurare che i luoghi della cultura sono vere e proprie officine del pensiero, in cui il caos creativo prende forma restituendo al tempo una dignità superiore; l’inganno alla morte si realizza attraverso il bello, e se davvero “la bellezza salverà il mondo”, con la chiusura dei luoghi della cultura, il luoghi del bello, ci stiamo privando di ogni speranza».

«I teatri vanno difesi, perchè noi siamo quelli che hanno espresso davvero un comportamento di serietà e tutela – chiosa infine la drammaturga ogliastrina Susanna Mameli, alla guida della compagnia Anfiteatro Sud e del Piccolo Teatro dei Ciliegi di Capoterra – Siamo stati, in questi mesi, più restrittivi anche rispetto alle indicazioni del Dpcm. Abbiamo limitato gli ingressi anche più di quanto richiesto, abbiamo cercato di utilizzare il più possibile gli spazi aperti e osservato tutte le norme. Lo abbiamo fatto per far sentire il pubblico protetto, accolto e sereno, per cercare di far tornare le persone a vivere. Il nostro spettacolo Accabbadora ha registrato il sold out questa estate, in tutte le repliche. Ma lo ha fatto nel rispetto assoluto di norme e buon senso. Attori e maestranze si sono sottoposti anche al test sierologico prima di presentarsi sul palco, proprio nel rispetto della salute di tutti. Ma purtroppo tutto questo non è bastato. Perché ciò che fa fede, alla fine, è la capacità del sistema sanitario di fare fronte a una mole di contagiati che potrebbe raggiungere cifre davvero preoccupanti. Io oggi non me la sento di mettere a rischio chi lavora con me e chi ci segue negli spettacoli e non vedo coesione sociale per fare sì che si possa analizzare cosa viene fatto bene e cosa no. Non restano molte altre scelte in questo momento se non affrontare questo semi lockdown. Per quanto riguarda la scuola di teatro, proveremo per ora ad assicurare almeno le lezioni online».

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