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Curiosità. Il Pane “de is bagàdius” la pasta gravellus, tra ritualità pagana e cristiana

Sa Festa de is bagàdius di Sìurgus Donigala, è molto antica. Gli studiosi, per la sua struttura organizzativa, la fanno risalire al Neolitico. Nel villaggio di Sìurgus, in onore de is bagàdius (dei celibi e delle nubili), la festa è la più importante dell’anno, e dura per tutta la seconda metà del mese di ottobre. 

Come tutti i riti che hanno storia antica e complessa, nel corso del tempo, subiscono un percorso evolutivo che ne trasformano, la fase originale – spiega l’esperto Giovanni Fancello – Un tempo si festeggiava, come molti riti agrari, nel mese di settembre, a cabidanni, che secondo l’antico calendario rurale era il primo mese dell’anno, quando iniziava l’annata agraria. Nel mese di settembre si praticavano i cerimoniali rivolti ad ottenere il favore degli dèi, per avere il loro favore al fine di ottenere un buon raccolto e la protezione della salute delle bestie. 

Is badàdius del villaggio, maschi e femmine, alla sera, una settimana prima si incontravano per realizzare e modellare, tra canti e balli, i vari tipi di pane, che come un puzzle componevano quello che diventava il gigantesco pane che caratterizzava e simboleggiava la festa.

La forma è ora molto complessa, composta da diverse tipologie di pane, che vengono appese su di una croce in legno. In epoca pagana, si presume potesse assumere altre simboliche forme. Le prime trasformazioni avvennero in epoca bizantina con l’avvento della cristianità, assumendo man mano, la forma della croce. Un attento studioso considera il pane una rappresentazione del corpo di Adone, Dio della Natura, che incarnava il ciclo stagionale della natura, apparente morte e resurrezione, circondato e sovrastato dai simboli della religione dei Misteri siro-fenicia, rappresentati da diverse forme di impasti di pasta. Già ai tempi di Salomone (1000 anni prima di Cristo), si portavano al Tempio le diverse offerte: tori, arieti, galline, focacce e pane.

Stesso rituale era ripetuto dai Nuragici che sono documentati dai diversi bronzetti ritrovati che rappresentando gli offerenti di pane. Un altro evento, carico di simboli e collegato alla festa di Siurgus, è la caccia a s’achixedda, la vitella, simbolo di forze malefiche, che catturata dai giovani, viene accompagnata in paese dove è attesa da tutte le giovani. Viene portata in processione per il paese e successivamente assume il ruolo sacrale e sacrificale, viene sacrificata e consumata dalla comunità. Un rito simile al sacrificio della vitella, si ripete anche a Guasila. L’arcaicità del rito è documentata nelle feste dell’antica Babilonia.

Con l’avvento del Cristianesimo, l’offerta è rappresentata principalmente dal pane e il sacrificio degli animali ha perso forza rappresentativa. Ora per la festa de is bagàdius per adornare la grande croce di legno si preparano circa 30 kg di pane, confezionato con il fior di farina di semola. Trenta chili di lucenti cocois, perché bagnati dopo la cottura e rimessi in forno per raggiungere lucentezza. Vari sono i pani rituali che compongono quello de is bagàdius:

 

 

 

 

 

Il pane è da sempre riconosciuto come alimento sacro e tale destino lo assume anche la pasta. “La pasta nacque come variante del pane, sottile non lievitata (ma talvolta sì)” scrive il più grande studioso di storia della gastronomia  Massimo Montanari. 

La pasta inizia a prender forma con l’alica romana, preparata con la farina di farro. L’alica rappresenta una evoluzione delle antiche polente, puls, prima, e dal pane azzimo, poi. In epoca romana si hanno anche altre tipologie di pasta denominate: tracta, lixae e laganum. Dal pane azzimo, che è il pane rituale, prende man mano forma la pasta. Questo è anche il percorso che compie il pane gravellus, utilizzato per il pane de is bagadius per diventare poi pasta, quella pasta che si afferma nell’oristanese.

Una talentuosa artigiana di Sisini (Trexenta), Annalisa Atzeni, racconta del pane gravellus, che è solita preparare per la festa: “E’ un decoro per il pane delle feste patronali, perché i buoi avevano le coroncine di pane e i gravellus, ultimamente di carta velina; questo avveniva anche nel Sarrabus e nel Sarcidano, e in buona parte del Campidano. La sorella di mio nonno, era una maestra di pane pintau, nata a Sisini, ma abitava a Siurgus, lei faceva i cuori decorati e le rose (pòtada a nomini – nota per le sue specialità), che ha tramandato alle maestre di Siurgus. Mia mamma sapeva anche lei decorare il pane; i miei bisnonni erano proprietari terrieri, coltivavano il grano, avevano più di un giogo di buoi e la semola per fare cocoi non mancava. La mia bisnonna, era di San Basilio, donna custode di arti antiche, anche amazzone, ha salvato l’azienda, quando mio bisnonno era in guerra ed era prigioniero degli austriaci.” 

Della pasta gravellus era stato pubblicato un post, pubblicato dall’antropologa Alessandra Guigoni su Facebook del 13 maggio 2013, dove si riportano le paste preparate dall’artigiana Norma Argiolas di Quartu, che allego.

La stessa antropologa ne aveva scritto Reportergourmet con un articolo del 21.7.2017, e riporta: “Ma di paste sarde ne esistono tanti altri tipi…(…)…   Uniche le caombas (colombe) e crogoristas (creste di gallo) di Masullas (Oristano), paste ornate, fatte a mano una per una, peculiari gli andarinos di Usini (Sassari) dalla caratteristica forma elicoidale, e i marraconis fibaus, spaghetti antichi; elenchiamo almeno ancora le lisanzas, tipo pappardelle, le tallutzas della Marmilla, cerchi di pasta semplici o finemente decorati, secondo l’occasione d’uso, e le paste a forma di fiore come i gravellus (garofani)”.  

«Dei gravellus – spiega Giovanni Fancello – ho parlato in tante occasioni, citando un agriturismo di Massama (OR),  dove si preparavano i gravellus e la capofamiglia Marisa Filomena Mannu di 74 anni, nata a Riola Sardo (OR) raccontava:  “Mia nonna, Filomena Orrù, nata alla fine dell’800 a Riola Sardo e sposata a Baradili, è morta nel 1962 a 80 anni. Era proprietaria terriera, ma dalla grande e fantasiosa manualità; preparava ogni tipo di pane e particolarmente su pane pintau. Speciali erano le sue paste. Ne preparava una, anche con mia madre, Giovannica Orrù, nata a Baradili e morta nel 1980 a circa 60 anni, che chiamavano is gravellus. Chiamavano la pasta così perché somigliava ai garofanini selvatici. La preparavano per i giorni della festa, principalmente per i matrimoni e la condivano con su ghisau de caboniscu – sugo di galletto e pomodoro secco. Ora questo tipo di pasta la prepariamo, con i miei figli, nel nostro agriturismo”. 

Sempre di gravellus ne parla Antonietta Spanu, una tra le più raffinate artigiane del pane rituale di Sardegna, come una pasta imparata da lei fin dalla tenera età dalle sue maestre di Simaxis: la nonna Anna Serra, di Simaxis, nata nel 1888 e dalla mamma, Siriana Schirru, nata del 1919, che realizzavano pane cerimoniale con is gravelleddus. La madre era una maestra del pane e della pasta, riconosciuta in tutto il circondario di Simaxis. 

Sarebbe meraviglioso che questa pasta non venisse dimenticata e che le artigiane, specie nell’oristanese, dove assumeva un ruolo sacrale in occasione delle feste, la preparassero, non solo per gustarla, ma per perpetuare una conoscenza gastronomica dal sapore e sapere antico. 

   

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