L’universalità della cucina ci sta permettendo di superare questi giorni difficili ed è proprio da qui che il turismo sardo dovrebbe ricominciare: dosiamo bene gli ingredienti per scegliere le azioni giuste a far ripartire il settore.
L’estate è alle porte e con lei tutti gli interrogativi su come potrebbe essere gestita la ripartenza. Per fortuna nessuno ci può togliere i nostri panorami costieri , da godere a distanza di sicurezza. Tuttavia, la straordinarietà dello scenario che ci troveremo ad affrontare deve spingerci a pensare oltre la stagione estiva e, per il nostro turismo, la sola contemplazione delle coste non basta.
L’enogastronomia potrebbe fungere da collante e da complemento della offerta turistica per tutta la regione. Ce lo spiega il gastronomo sardo Paolo Solinas.
«In Sardegna negli ultimi anni sono sorte ottime iniziative di turismo responsabile, per far scoprire la cultura territoriale esplorando sentieri meno battuti e sperimentando prodotti esperienziali originali. Tuttavia, come ci mostra il rapporto di Aperiturismo sul turismo enogastronomico, ci sono diverse criticità migliorabili. Tra queste emergono: una scarsa diversificazione dell’offerta rispetto ai trend nazionali, la poca innovazione, lacune a livello comunicativo e una scarsa commercializzazione dei tour e dei pacchetti di prodotti esperienziali. In molte aree mancano offerte di esperienze ad hoc in linea con tempi e stili di vita locali, che attraggano un turismo responsabile e slow-paced» afferma Solinas.
«Non si tornerà alla normalità, ma si apriranno scenari nuovi, con maggiore incertezza e attenzione da parte dell’ospite. Ciò si dovrà tradurre da un lato nella garanzia di una maggiore sicurezza tramite protocolli operativi adeguati, ma anche e soprattutto in una migliore conoscenza e consapevolezza delle proprie risorse culturali e ambientali – spiega – Per tutte le piccole destinazioni, come paesi, borghi, aree interne, è il momento di specializzare la propria offerta turistica. Il turismo enogastronomico può contribuire allo sviluppo sostenibile delle aree rurali, avvicinando produttori, ristoratori, operatori e consumatori, contribuendo ad accorciare la filiera e generando benefici diffusi nel territorio».
«Un esercizio efficace può essere l’analisi di ciò che ci differenzia e ci accomuna con altre regioni italiane ed estere, tra le stesse aree interne alla Sardegna, pensando a forme di collaborazione, mirate alla creazione di piattaforme di attrazione congiunta. Si pensi ad esempio a tutte le influenze orientali presenti all’interno della cultura dolciaria sarda (i dolci di mandorle che ci accomunano anche con la Sicilia) o alla tradizione casearia che i nostri pastori hanno contribuito a rivitalizzare nel nord e centro Italia in passato. Si pensi alle peculiarità e a come tradurle in attività promozionali».
«Un esempio di buona pratica è il recente progetto Discover the differences ideato dalla regione Piemonte assieme alla Toscana. Grazie alla cooperazione di operatori turistici, proporranno dei tour congiunti di alto livello di enogastronomia, arte e attività all’aperto come bike e trekking, parecchio in voga. Piemonte e Toscana sono ormai realtà turistiche molto strutturate per un target medio-alto, non solo per le peculiarità territoriali, ma anche grazie a oculate strategie di marketing e co-creazione di valore – conclude il gastronomo sardo – Nell’epoca del post-Coronavirus, il valore del tempo subirà una trasformazione radicale e sarà – anzi lo è già – uno degli indicatori di benessere sociale e culturale. È qui che dobbiamo inserirci, essere più coraggiosi, puntando sull’autenticità e creando una nuova cultura turistica e gastronomica dell’Isola, offrendo esperienze inclusive e coinvolgenti anche da un punto di vista emotivo».