Anche il penultimo appuntamento della Pastorale del Turismo 2019 organizzata dalla Diocesi di Lanusei ha richiamato migliaia di persone. Sul palco dell’Anfiteatro della Caritas, si sono esibiti Giacomo Poretti e la moglie Daniela Cristofori interpretando lo spettacolo scritto a quattro mani: “Litigar Danzando”.

Poretti noto attore italiano, celebre al grande pubblico per il sodalizio artistico con Aldo Baglio e Giovanni Storti (con i quali ha dato vita al trio comico Aldo, Giovanni e Giacomo), è un apprezzato regista e sceneggiatore teatrale. 

Al suo fianco la moglie Daniela Cristofori, brillante attrice e regista teatrale, ma anche affermata psicoterapeuta a Milano.

I due si sono esibiti in una sorta di conferenza-spettacolo nel quale affrontano in modo leggero ma autentico l’argomento del litigio di coppia.

Partendo dal presupposto che l’uomo è portato a litigare, i due con umorismo hanno ammaliato la folla con gag divertenti e battute continue, immedesimandosi in scene comiche tratte da proprie esperienze personali o tratte da racconti dei propri amici. 

Situazioni comuni a tutti nella vita quotidiana, dove viene esaltata l’arte del litigare, che alla fine viene paragonata ad una vera e propria danza con vari passi e cambiamenti di ritmo, tanto da dare il nome allo spettacolo stesso.

Poretti e Cristofori hanno descritto abilmente la funzione benefica del litigio nella coppia, i luoghi e i motivi degli scontri, con il grande dono dell’ironia senza prendersi troppo sul serio. Creative le soluzioni per evitare e riappacificarsi dopo i litigi.

Nel finale è salito sul palco il vescovo Antonello Mura, ha ringraziato i due attori per l’esibizione, esponendo la sua opinione sul fatto che per poter litigare bene bisogna avere una grande anima, e la spiritualità aiuta a superare le divergenze riappacificandosi. 

La Pastorale del Turismo 2019 ritornerà il 7 settembre con l’ultimo appuntamento con la lezione-spettacolo di Pierluigi Bartolomei. 

Fino al Medioevo il vero Capodanno sardo si festeggiava a settembre. La forte vocazione agropastorale dell’isola, unita al lungo periodo di dominazione bizantina, infatti portò la Sardegna a seguire il calendario bizantino e non quello gregoriano, dove l’anno iniziava il 1 settembre e terminava il 31 agosto. Per questo motivo l’intero mese venne chiamato “cabudanni”, termine che deriva dal latino “caput anni”, ovvero, “inizio dell’anno”.

A settembre, infatti, si svolgeva l’ultimo ciclo delle attività agricole e pastorali, che precedeva il lungo periodo di quiescenza invernale della Natura. Da sempre, quindi, era il legame con la terra a condizionare notevolmente i ritmi della vita e le tradizioni del popolo sardo. Al Capodanno settembrino erano quindi legate alcune usanze e tradizioni ben auguranti. Conosciamo molte di queste usanze grazie ai racconti di Grazia Deledda, che – come sappiamo – ha saputo tramandare un mondo antico e “primitivo” fatto di credenze popolari, riti e leggende.

Sebbene non accompagnato da celebrazioni solenni, come la Pasqua o il Natale, il Capodanno era il momento più adatto per fare al destino domande sul futuro (molte fanciulle in età da marito si domandavano quando si sarebbero sposate) e invocare sui raccolti la benedizione del divino.