Antonio Dore ha 22 anni, è originario di Lanusei e attualmente vive a Torino, dove ha intrapreso il percorso universitario d’ingegneria informatica e coltiva la passione per il mondo musicale.
«La passione per la musica è una costante che mi accompagna sin da quando ero bambino. Credo sia cominciato tutto grazie a mia sorella maggiore che mi faceva ascoltare CD contenenti sfide di freestyle, ai tempi in cui ancora non esisteva nemmeno Youtube. Ascoltavo molti rapper americani e tentavo di emularli, anche se con scarsi risultati. Mia sorella mi traduceva i testi ed io restavo sempre impressionato da questo particolare modo di trattare temi, anche rilevanti, in musica. Così, iniziai a suonare il pianoforte da autodidatta e a scrivere le prime banalissime rime: sono stati tanti piccoli passi che, con il tempo, hanno dato i loro frutti.»
Antonio è musicalmente legato prettamente al genere ‘rap’, ma non osa ancora definirsi ‘rapper’ e non sa indicare con certezza un aggettivo che definisca la sua musica: per lui è un’importante valvola di sfogo.
Antonio racconta di seguire, da sempre, alcuni artisti, come Kaos, i Colle Der Fomento ed Eminem, ma dice di non ispirarsi a nessuno di questi, anche se inevitabilmente la loro musica si riversa nella sua scrittura. Lui, piuttosto, punta a creare un genere suo, uno stile personale, costruito interamente da sé.
Oltre alle numerose gare di freestyle cui ha partecipato, l’anno scorso è arrivata l’idea di “redruM”, un album molto particolare, in cui si trovano canzoni che trattano di tematiche personali, che stanno a cuore al giovane cantante.
«E’ cominciato tutto con le gare di freestyle: ogni volta che decidevo di partecipare a una di queste venivo completamente rapito dall’ansia, dalla paura di sbagliare. Con il tempo, poi, l’ansia ha lasciato il posto al divertimento e adesso, quando gareggio, cerco solo di divertirmi e far ridere il pubblico. Per quanto riguarda, invece, le esibizioni con le mie canzoni, c’è da fare un discorso differente. I miei testi parlano di me, delle mie paranoie, dei miei pensieri, e non è facile mettersi a nudo davanti a un pubblico, grande o piccolo che sia. Quando canto le mie canzoni, lo ammetto, ho sempre paura; paura di non piacere, paura di rivivere qualche sensazione che non mi permetta di portare a termine l’esibizione come vorrei. Il titolo dell’album ha dei riferimenti a realtà molto forti e l’ho scelto perché in linea con le brutte esperienze che ho vissuto, che ho voluto paragonare a delle torture inserendole nelle diverse canzoni. Il progetto è nato per caso ma, devo ammetterlo, a differenza di ciò che pensavo, mi sta dando molte soddisfazioni.»
Antonio è molto giovane ed è consapevole di avere tanta strada da percorrere, ma è fiero del lavoro svolto finora e racconta di non aver mai pensato al mondo della musica come un mondo dal quale guadagnare.
«Non sogno di cantare per fare soldi, non è quello che voglio, anche se riconosco che guadagnarci qualcosa mi farebbe comodo. Il mio sogno più grande è quello di cantare su palchi importanti e vedere le reazioni della gente, delle persone che si riconoscono nei miei testi e cantano insieme a me le mie canzoni. Per il percorso intrapreso finora, voglio ringraziare, in primis, i miei genitori, che mi hanno permesso di cambiare città e coltivare tutte le mie passioni, senza ostacolarmi mai. Un grazie dal profondo del cuore va, ovviamente, a Manuele Santoro, il mio video maker e compagno di avventure, e ad Andrea Campanile, che cura il sound e tutti i dettagli delle mie canzoni, oltre che a Big Tale, senza il quale tutto questo non sarebbe potuto nascere.»
Antonio conclude l’intervista lanciando un messaggio a tutti i giovani ogliastrini che vorrebbero coltivare le proprie passioni ma, per un motivo o per un altro, decidono di reprimerle, cercando in tutti i modi di mostrarsi diversi da ciò che sono.
«Noi giovani sardi, soprattutto coloro che, come me, vivono in piccoli paesi, dovremmo smettere di preoccuparci di cosa pensa la gente e preoccuparci più di cosa vogliamo noi. Molte persone rinunciano a fare ciò che amano, a essere come vorrebbero essere, semplicemente per la paura di essere giudicati da chi hanno intorno. Io, per primo, negli anni della mia adolescenza ho avuto timore a far uscire questa parte di me: avevo paura del giudizio della gente, di cosa avrebbero potuto pensare e di come avrebbero potuto etichettarmi. Crescendo, per fortuna, ho capito che questa paura, in un modo o in un altro, va affrontata e che non possiamo porre limiti a ciò che siamo, se vogliamo essere felici. Una volta superato quest’ostacolo, ve lo assicuro, la strada è tutta in discesa!»
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