Quando a Napoli esisteva l’economia del vicolo: tra personaggi e antichi mestieri sepolti dalla modernità

I vicoli di Napoli hanno una varietà ricchissima di storie. Vicende, riti e usanze che ruotavano intorno ai suoi abitanti. Personaggi, ognuno con la propria funzione specifica all’interno della cosiddetta “economia del vicolo”. Oggi quasi tutto è cambiato. Ma cos’era questa economia del vicolo?
Quando a Napoli esisteva l’economia del vicolo: tra personaggi e antichi mestieri sepolti dalla modernità.
I vicoli di Napoli hanno una varietà ricchissima di storie. Vicende, riti e usanze che ruotavano intorno ai suoi abitanti. Personaggi, ognuno con la propria funzione specifica all’interno della cosiddetta “economia del vicolo”. Oggi quasi tutto è cambiato. Ma cos’era questa economia del vicolo?
Nel passato e in una certa misura anche oggi, ma con notevoli cambiamenti, la vita dei vicoli ruotava intorno ai suoi personaggi e ai loro mestieri e occupazioni, più o meno legali. Parliamo della cosiddetta “economia del vicolo”: mestieri che hanno fatto la storia dei vicoli e che hanno dato loro il nome; si pensi per esempio ai guantai, agli scassacocchi, agli spagari, agli armieri, ai lammatari, ai giubbonari, antiche professioni artigianali che non esistono più, soppiantate dall’industria soprattutto a partire dal ventesimo secolo. Solo qualche vicolo conserva la propria vocazione artigianale, come nel caso dei vicoli del Borgo Orefici, nella zona portuale della città, dei vicoli dell’area presepiale tra San Gregorio Armeno e San Biagio dei Librai, dei vicoli del Borgo Rua Catalana, alle spalle di piazza Municipio, con i suoi laboratori di lavorazione della latta.
Tra i vicoli e i suoi bassi si aggiravano, e come abbiamo visto in qualche caso si aggirano ancora oggi, una serie di personaggi che pur entrano a pieno titolo nel circuito economico circolare del vicolo. Parliamo del contrabbandiere, figura scomparsa solo di recente, la prostituta, lo spacciatore. Le piccole attività commerciali erano e sono l’agenzia dei pegni, il banco del lotto, la rivenditrice di detersivi e alimentari.
Molte di queste attività si svolgevano, si svolgono, nei bassi, e nello stretto spazio ad essi antistante. Coloro che vi si impegnavano erano gli ultimi nella scala sociale, i più poveri, il cui lavoro serviva le necessità in molti casi degli abitanti del vicolo più ricchi. Generalmente questi ultimi occupavano i piani alti degli antichi palazzi del centro storico ed arano in alcuni casi famiglie nobiliari o più spesso famiglie borghesi. L’economia del vicolo sviluppava un circuito circolare, autosufficiente; nel vico si creava un microcosmo, dove ognuno col suo ruolo e il suo mestiere soddisfa le esigenze di consumo dell’altro. Negli anni passati maggiormente, il vicolo era un universo peculiare, affascinante, unico. La strada si animava delle diverse occupazioni, della voce e dei rumori di chi lavora. Il tratto caratterizzante di questa economia del vicolo è, oltre alla sua circolarità, la precarietà, la provvisorietà. Certo molti cambiamenti sono sopraggiunti dall’Ottocento, in cui abbiamo la piena e più completa affermazione del vicolo con le caratteristiche poc’anzi descritte, a oggi.
Il più vistoso e radicale cambiamento è la rottura di quella circolarità che faceva del vicolo una realtà autonoma. Oggi giorno non c’è quasi più quella coabitazione tra l’agiato borghese che occupava l’ultimo piano dei palazzi e il popolo minuto che viveva nei terranei, nei bassi, e dove l’uno alimentava l’economia dell’altro. Dal dopoguerra a oggi molti dei più abbienti hanno lasciato i quartieri poveri scegliendo le zone come il Vomero, Fuorigrotta, I palazzi gentilizi delle grandi arterie della città.
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