Monumenti napoletani: Casina Vanvitelliana, una costruzione da favola che si specchia nelle acque del Fusaro
Monumenti napoletani: Casina Vanvitelliana, una costruzione da favola che si specchia nelle acque del Fusaro
Monumenti napoletani: Casina Vanvitelliana, una costruzione da favola che si specchia nelle acque del Fusaro
Ricorda tantissimo la casa incantata della fata Turchina del film “Pinocchio” di Comencini (che però si trova nel lago di Martignano in provincia di Roma), questa costruzione settecentesca che giace placida e sognante sulle acque del Lago Fusaro. Soprattutto al tramonto regala giochi di luce, mescolando i riflessi sul lago con i colori pastello del cielo. Uno spettacolo imperdibile. Leggiamone la storia.
Monumenti napoletani: Casina Vanvitelliana, una costruzione da favola che si specchia nelle acque del Fusaro.
Ricorda tantissimo la casa incantata della fata Turchina del film “Pinocchio” di Comencini (che però si trova nel lago di Martignano in provincia di Roma), questa costruzione settecentesca che giace placida e sognante sulle acque del Lago Fusaro. Soprattutto al tramonto regala giochi di luce, mescolando i riflessi sul lago con i colori pastello del cielo. Uno spettacolo imperdibile. Leggiamone la storia.
Nessuno può reprimere lo stupore e l’incanto dinanzi alla meraviglia architettonica che la Casina Vanvitelliana rappresenta. Siamo a Bacoli, un tranquillo e grazioso paese dell’area Flegrea, poco distante da Pozzuoli. Un’area di grande interesse archeologico, un luogo incredibilmente suggestivo per la storia millenaria che i reperti di età greca e romana raccontano. Uno dei siti storici più incantevoli dell’area di Bacoli è di certo la succitata Casina Vanvitelliana. Una costruzione che si raggiunge dopo aver attraversato l’omonimo parco, anch’esso di grande bellezza, per poi giungere ad affacciarsi sullo specchio d’acqua del lago del Fusaro.
Specchio su cui si riflette la sagoma di questa casina a formare giochi di luce che lasciano attoniti. L’atmosfera è da favola al punto che molti erroneamente credono che questa sia la Casina di Pinocchio, cioè la casa della Fata turchina nel film di Luigi Comencini, ma non lo è, sebbene la ricordi tantissimo. Ma parliamo della storia di questo luogo magico. Abbandonata dopo l’epoca romana, l’area del parco Vanvitelliano fu adibita a riserva di caccia nel 1752, quando la zona era scarsamente popolata. A iniziare i lavori fu Luigi Vanvitelli, già architetto della Reggia di Caserta, per volere di Carlo III, ma a portarli a termine nel 1782 fu suo figlio Carlo, su richiesta di Ferdinando IV di Borbone. La Casina vanvitelliana è stata costruita su un isolotto leggermente distante dalla riva, alla quale oggi è collegata da un pontile in legno. Con una pianta composta da tre ottagoni intersecati, la casina vanvitelliana appare quasi come una pagoda che si erge sul lago Fusaro, abbellita con ampie vetrate su tutti i suoi lati. Molti sono i personaggi illustri che nel tempo sono stati ospiti all’interno della Casina vanvitelliana, tra i quali ricordiamo Mozart, Giochino Rossini, ma anche reali come lo Zar di Russia e Francesco II Imperatore d’Austria e, negli anni ’50, l’allora Presidente della Repubblica Luigi Einaudi.
Durante i moti del 1799, che diedero vita alla breve Repubblica napoletana, andarono persi i dipinti del pittore tedesco Jakob Philipp Hackert raffiguranti le quattro stagioni. I Borbone li avevano spostati dalle residenze di San Leucio alla Casina Vanvitelli, dove c’era anche un omaggio dello stesso pittore, il dipinto a olio su tela “Ferdinando IV a caccia di folaghe nel lago Fusaro”. Oggi è ancora possibile ammirare questo dipinto all’interno della Reggia di Capodimonte.
La Casina, sebbene i lavori di restauro del 2000, ha perso lo sfarzo che aveva in origine, tuttavia conserva moltissimo del suo incanto, soprattutto quando il cielo si tinge di colori infuocati al tramonto e la casina sembra un luogo incantato nel tempo. Proprio per questa bellezza particolare, la costruzione compare in diversi film: “Ferdinando e Carolina” di Lina Wertmuller, “Luca il contrabbandiere” di Lucio Fulci. È stata anche una delle location de “L’imbroglio nel lenzuolo” con Maria Grazia Cucinotta.
Lo sapevate? Perché San Gennaro è così amato dai napoletani e perché avviene la liquefazione del sangue?
Fra i santi dell’antichità, Gennaro è certamente uno dei più venerati dai fedeli grazie anche al culto che gli tributano i napoletani accompagnato periodicamente dal misterioso prodigio della liquefazione del suo sangue. Per San Gennaro i napoletani nutrono un affetto che va ben oltre il devozionale, molti infatti si rivolgono a lui quasi fosse uno di famiglia. Perché questo santo è così amato e perché avviene la liquefazione del sangue?
Lo sapevate? Perché San Gennaro è così amato dai napoletani e perché avviene la liquefazione del sangue?
Fra i santi dell’antichità, Gennaro è certamente uno dei più venerati dai fedeli grazie anche al culto che gli tributano i napoletani accompagnato periodicamente dal misterioso prodigio della liquefazione del suo sangue. Per San Gennaro i napoletani nutrono un affetto che va ben oltre il devozionale, molti infatti si rivolgono a lui quasi fosse uno di famiglia. Perché questo santo è così amato e perché avviene la liquefazione del sangue?
Gennaro non è il nome del santo ma il suo cognome, che all’epoca veniva chiamato “gentilizio”. “Gennaro” deriva infatti da “Ianuarius”, un appellativo che veniva dato a coloro che nascevano nel mese di Gennaio. Il nome vero di San Gennaro è probabilmente Procolo (o, come riportano altre fonti, Publio Fausto Gennario). Gennaro discendeva dalla famiglia gentilizia della gens Januaria, che durante l’era pagana era dedita al culto del bifronte dio Giano.
San Gennaro nacque nel III secolo d. C. a Napoli. Diventato vescovo di Benevento, si fece ben presto amare da tutta la comunità, cristiana e pagana. Quando decise di tornare a Napoli fu fatto arrestare dal proconsole che lo condannò a morte.
Le spoglie di San Gennaro furono sistemate a Pozzuoli e dopo circa cento anni furono trasferite nelle catacombe di Capodimonte. Durante questo spostamento il suo sangue, conservato in due ampolle di vetro, si sciolse.
Secondo la leggenda, una nobildonna, Eusebia, raccolse in due ampolle il sangue del santo versato durante l’esecuzione della decapitazione. Le boccette poi furono consegnate al vescovo Severo durante il trasporto delle reliquie da Pozzuoli alle catacombe di Capodimonte.
Oggi le due ampolle sono conservate all’interno di una teca che si trova nel Duomo di Napoli. Una curiosità nella curiosità: una delle due ampolle contiene meno sangue perché Carlo III di Borbone ne prelevò una parte per portarlo con sé in Spagna. Tre volte l’anno, durante una solenne cerimonia i fedeli accorrono per assistere alla liquefazione del sangue di San Gennaro.
Il sangue si scioglie il 19 settembre, il primo sabato precedente di maggio e il 16 dicembre. Il miracolo si verifica a Napoli e, quasi contemporaneamente, nella chiesa di San Gennaro alla Solfatara di Pozzuoli, sulla pietra su cui fu decapitato il Santo.
A maggio, durante il primo sabato del mese: c’è la processione del busto di San Gennaro e del reliquiario con le ampolle, al termine della quale avviene la liquefazione del sangue; il 19 settembre, nella data in cui si ricorda il martirio del santo: si tiene una celebrazione solenne all’interno del Duomo, in presenza del cardinale arcivescovo. Si tratta di un momento importantissimo per i fedeli, che partecipano con trasporto e commozione all’accadere del miracolo. Il sangue sciolto resta visibile per gli otto giorni successivi, dopodiché l’ampolla viene rimessa al suo posto. Il 16 dicembre si tiene la Festa del patrocinio di San Gennaro, che ricorda l’eruzione del Vesuvio nel 1631, quando la lava si fermò proprio grazie all’invocazione del Santo.
Il prodigio, così puntuale, non è sempre avvenuto. Esiste un diario dei Canonici del Duomo che riporta nei secoli anche le volte che il sangue non si è sciolto, oppure con ore e giorni di ritardo, oppure a volte è stato trovato già liquefatto quando sono state aperte.
Dicerie vogliono che ogni volta che il sangue di San Gennaro non si scioglie, un evento catastrofico si abbatte sulla città e suoi suoi cittadini. Ed è per questo che tutti ne aspettano con ansia lo scioglimento.
Come funziona il miracolo di San Gennaro? Il rito della liquefazione del sangue di San Gennaro consiste nello scioglimento del sangue del Santo all’interno dell’ampolla più grande. Il rito viene portato avanti dall’Arcivescovo di Napoli, che estrae l’ampolla dalla teca e inizia a scuoterla con dei movimenti precisi. I gesti dell’arcivescovo vengono poi rafforzati dalle incitazioni dei fedeli, che invitano San Gennaro a fare il miracolo con un’intensità che aumenta via via che il tempo passa. Solitamente il sangue si scioglie in pochi minuti, iniziando a mostrare tutte le proprietà di un normale liquido.
Il miracolo di San Gennaro scientificamente viene spiegato con la “tissotropia”, un fenomeno che riguarda determinate sostante. Queste sostanze sono rinvenibili nella natura allo stato solido ma, dopo una serie di movimenti, possono passare allo stato liquido. La tissotropia può spiegarsi come una trasformazione gel-sol reversibile e isoterma in cui quando l’azione delle forze di taglio viene a mancare si riforma la struttura che rende consistente il materiale. I sistemi tissotropici mostrano una struttura reticolata instabile, formata dai numerosi punti di contatto di particelle asimmetriche. Quando il materiale è in quiete la struttura riesce a conferirgli rigidità paragonabile a quella del gel. Quando lo si sottopone a forze di taglio la struttura si frantuma via via poiché diminuisce il numero dei punti di contatto fra le particelle asimmetriche ed esse iniziano ad allinearsi verso la direzione di efflusso; a questo punto la viscosità diminuisce progressivamente e la sostanza inizia a passare dallo stato di gel a quello liquido. Tra le sostanze comuni la salsa ketchup è forse la più nota a manifestare questa proprietà. Quando il contenitore è immobile la salsa appare di consistenza quasi solida, molto viscosa; quando invece si agita la bottiglietta essa diviene in pochi secondi molto fluida, quasi liquida, e fuoriesce con facilità dall’ugello. La liquefazione del sangue di San Gennaro é spiegata presupponendo che la teca di vetro che secondo la tradizione contiene il sangue del martire sia riempita con una sostanza tissotropica: tre ricercatori italiani, Luigi Garlaschelli, Franco Ramaccini, Sergio Della Sala hanno riprodotto una sospensione colloidale di idrossido ferrico con ioni di sodio e cloro avente un comportamento tissotropico molto simile al fluido contenuto nella teca di San Gennaro.
San Gennaro subì il martirio perché non rinunciò alla fede cristiana. Il suo martirio avviene all’inizio del IV secolo d.C., all’epoca di Diocleziano, uno degli imperatori che più ferocemente perseguitò i Cristiani.
San Gennaro si recò a Pozzuoli per andare a trovare il diacono Sossio (o Sosso), incarcerato dal proconsole della Campania Dragonio perché guida della comunità dei Cristiani nell’area dei Campi Flegrei.
San Gennaro andò da Sossio con Desiderio e Festo e tutti furono incarcerati e condannati a essere sbranati dagli orsi. Le fonti raccontano che le bestie si mostrarono mansuete e anche a causa della simpatia che il popolo provava nei confronti dei prigionieri, il proconsole Dragonio li fece decapitare.
La tradizione, tra popolare e religioso, presenta un’ulteriore versione: il supplizio venne mutato perché le fiere si sarebbero inginocchiate dinanzi ai condannati dopo una benedizione di Gennaro. A questo punto dopo aver provato a farli morire con le stufe di Solfatara, ma senza risultati, i condannati vennero decapitati.
Durante il trasporto delle reliquie di San Gennaro a Napoli, Eusebia consegnò al vescovo le due ampolline contenenti il sangue di San Gennaro.
La tomba divenne meta di continui pellegrinaggi per i grandi prodigi che gli venivano attribuiti. Nel 472 ad esempio, in occasione di una violenta eruzione del Vesuvio, i napoletani accorsero in massa nella catacomba per chiedere la sua intercessione, iniziando così l’abitudine ad invocarlo nei terremoti e nelle eruzioni, e mentre aumentava il culto per San Gennaro, diminuiva man mano quello per Sant’Agrippino vescovo, fino allora patrono della città di Napoli.
Successivamente, durante un’altra eruzione nel 512, fu lo stesso vescovo di Napoli, Stefano I, ad iniziare le preghiere propiziatorie, quindi fece costruire in suo onore, accanto alla basilica costantiniana di Santa Restituta (prima cattedrale di Napoli), una chiesa detta Stefania, sulla quale verso la fine del secolo XIII, venne eretto il Duomo di Napoli, riponendo nella cripta il cranio e la teca con le ampolle del sangue.
Questa provvidenziale decisione preservò le suddette reliquie dal furto operato dal longobardo Sicone, che durante l’assedio di Napoli dell’831, penetrò nelle catacombe, allora fuori della cinta muraria della città, asportando le altre ossa del santo che furono portate a Benevento, sede del ducato longobardo.
Le ossa restarono in questa città fino al 1156, quando vennero traslate nel Santuario di Montevergine (AV), dove rimasero per tre secoli e addirittura se ne perdettero le tracce finché, durante alcuni scavi effettuati nel 1480, casualmente furono ritrovate sotto l’altare maggiore insieme a quelle di altri santi, ma ben individuate da una lamina di piombo con il nome.
Il 13 gennaio 1492, dopo interminabili discussioni e trattative con i monaci dell’abbazia verginiana, le ossa furono riportate a Napoli nel Duomo e unite alla testa e alle ampolle. Intanto le ossa del cranio erano state sistemate in un preziosissimo busto d’argento, opera di tre orafi provenzali, dono di Carlo II d’Angiò nel 1305, al Duomo di Napoli.
Le Due Porte all’Arenella è un antico borgo che cela non pochi aspetti misteriosi in cui c’entrano i Templari, San Gennaro e Giambattista Della Porta, tutti legati al nome di una…
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