Lo sapevate? Totò a Napoli era così amato che ebbe tre funerali

Totò era così amato dal pubblico che per dirgli addio fecero tre cerimonie. Quella nel suo rione Sanità fu un bagno di popolo. Ma nel feretro lui non c’era.
Lo sapevate? Totò a Napoli era così amato che ebbe tre funerali.
Totò era così amato dal pubblico che per dirgli addio fecero tre cerimonie. Quella nel suo rione Sanità fu un bagno di popolo. Ma nel feretro lui non c’era.
La bara entrò nella basilica: la figlia del defunto se ne stava seduta in prima fila, gli occhi sgranati, l’abito nero. Piangevano tutti, parenti e amici, piangevano pur sapendo che il morto in verità non c’era. Ai piedi dell’altare di Santa Maria della Sanità vuota era la cassa, perché Antonio Angelo Flavio Comneno Grippa Focas Lascaris di Bisanzio, principe della risata sotto la maschera di Totò, aveva già preso congedo dai suoi cari per due volte, salutato e sepolto, e al terzo funerale stavolta era presente solo per finta. Una specie di ultimo show.
Come riporta un vecchio articolo di La Repubblica, il mondo che lo amava non era riuscito a contenere tutto il dolore dentro un solo addio. Il 15 aprile del ’67 mentre prendeva coscienza che l’indigestione era in realtà un infarto, Totò fece in tempo a consegnare al suo cugino e segretario Eduardo Clemente 120 mila lire per le esequie, raccomandandosi che tutto fosse fatto con quella cifra, dunque con semplicità. Il punto è che poi mormorò «portatemi a Napoli».
Tremila persone erano arrivate a salutarlo nell’appartamento romano in via dei Monti Parioli 4, salone con moquette gialla, una gabbia di uccelli esotici in un angolo, la foto con la dedica di Umberto di Savoia. Attori, industriali, ministri e impresari nella chiesa di Sant’Eugenio, in viale delle Belle Arti: un rito semplice e breve. Il primo. Poi, vestito di una giacca blu di taglio marinaro, bottoni d’argento, cravatta nera, pantaloni grigi e calzini rossi, le mani poggiate su un mazzo di rose e un’immagine di Sant’Antonio di Padova accanto a sé, Totò venne accontentato e tradito allo stesso tempo, viaggiando con gli occhi chiusi per sempre dentro un furgone verso Napoli, dove le cose si fecero un filo più barocche. Impiegò due ore per passare tra la gente e coprire il tratto di sei chilometri dal casello dell’autostrada fino alla chiesa del Carmine, nella piazza in cui alla folla aveva parlato a suo tempo Masaniello. Garofani, tulipani, rose. Petali lanciati dai palazzi. Gente aggrappata alle statue dei santi, alle colonne, perfino sull’organo. Al funerale numero due provarono a entrare in trentamila, la moglie Franca e la figlia Liliana non ci riuscirono, mentre Napoli abbassava serrande e chiudeva portoni in segno di lutto.
Sono rari gli scatti dei funerali di Totò, strano per un uomo di quella popolarità. L’intera città si bloccò dalle 16 alle 18:30. I negozi furono chiusi, l’orazione fu tenuta da Nino Taranto, grande amico del Principe. Si narra che alcune persone furono colte da malore, per lo spavento provato nel vedere ai funerali Totò vivo. L’uomo che tanto assomigliava al Principe era Dino Valdi, professione attore cinematografico, per molti anni controfigura di Totò. Poi la salma fu portata nella cappella di famiglia dei De Curtis, dove è sepolto accanto al padre Giuseppe, alla madre Anna e a Liliana Castagnola.
Il terzo funerale si svolse ancora nel Rione Sanità il 22 maggio, pochi giorni dopo il trigesimo. Una bara ormai vuota sfilò tra 250mila persone, tante quante si erano riversate in strada per il primo funerale. Un funerale-bis da farsi il 22 maggio nella chiesa di San Vincenzo nel rione dove Totò era nato: sebbene la bara fosse vuota c’era la stessa folla piangente e acclamante di qualche giorno prima.
La cappella dove è sepolto Totò si trova a Napoli, al Cimitero di Santa Maria del Pianto (il Cimitero del Pianto). Sul marmo all’esterno della lapide del principe della risata v’è una scritta. Si tratta di una poesia, A Livella, una metafora sulla morte che, esattamente come fa una livella, tratta tutti allo stesso modo. La Livella è la poesia di Totò più amata di sempre, un testo che ironizza sulla morte.
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