Lo sapevate? Dal 1848 in un palazzo milanese c’è una palla di cannone conficcata nel muro
A pochi passi dal Duomo di Milano, in Corso di Porta Romana 3, si trova palazzo Acerbi, di cui abbiamo già parlato per una vecchia leggenda. Questa volta andremo a capire perché in uno dei muri che circondano la struttura, c'è una vecchia palla di cannone conficcata.
Lo sapevate? Dal 1848 in un palazzo milanese c’è una palla di cannone conficcata nel muro.
A pochi passi dal Duomo di Milano, in Corso di Porta Romana 3, si trova palazzo Acerbi, di cui abbiamo già parlato per una vecchia leggenda. Questa volta andremo a capire perché in uno dei muri che circondano la struttura, c’è una vecchia palla di cannone conficcata.
Nel 1848, il 20 marzo, durante le “Cinque Giornate di Milano” una palla di cannone austriaca colpì la facciata di Palazzo Acerbi e rimase conficcata nel muro. Ancora oggi è possibile vederla.
Nel muro, nella parte destra della facciata, tra il pian terreno e il primo piano, è incastonata una palla di cannone sparata il 20 Marzo 1848 dall’esercito austriaco per contrastare l’insurrezione dei cittadini milanesi. Un ricordo della libertà conquistata.
In quel contesto storico la città era capitale del Regno Lombardo-Veneto, che apparteneva all’Impero austriaco, ma la dominazione straniera era mal sopportata, così nel marzo di quell’anno ci fu uno dei più famosi moti risorgimentali, che costituì il presupposto della Prima guerra d’indipendenza.
Tra il 18 e il 22 marzo 1848 in città scoppiò la rivolta dei milanesi contro l’oppressore austriaco cominciata con lo “sciopero del fumo”. Radetzky dichiarò lo stato di emergenza. Le campane risuonarono in tutta Milano per richiamare il popolo alla battaglia.
Sotto la palla di cannone che colpì il palazzo, chi decise di lasciarla, fece aggiungere sotto una scritta su una piccola lapide che ricorda che il lancio e l’impatto avvennero nel terzo giorno degli scontri il «20 marzo 1848».
Tra le altre cose l’antico Palazzo Acerbi secondo la leggenda nel corso del Seicento fu la dimora il Diavolo in persona.
Circa 400 anni fa, durante la terribile epidemia di peste che decimò Milano, il marchese Ludovico Acerbi era solito organizzare feste e banchetti all’interno del suo palazzo, senza peraltro preoccuparsi minimamente del pericolo di contagio o della terribile situazione in cui versavano la città e i suoi abitanti. Un atteggiamento che fece pensare gli abitanti di Milano, i quali cominciarono a non fidarsi del marchese e dei suoi strampalati atteggiamenti. Infatti il comportamento del nobile strideva decisamente con il momento di emergenza. Mentre in strada la gente moriva e i cadaveri venivano accatastati ai bordi dei marciapiedi, nel suo palazzo le feste continuavano e dalle finestre giungevano note musicali e rumorose risate.
Ludovico Acerbi era un magistrato e politico milanese a servizio della Spagna.
Si trattava in effetti di un personaggio decisamente inquietante, abituato a spostarsi con una altrettanto inquietante carrozza nera trainata da 6 cavalli, anch’essi rigorosamente neri.
Il suo corteo per l’uscita era suggellato dalla presenza di ben 16 guardie del corpo vestite con una livrea verde dorata.
Denaro e sfarzo, ostentati da un signore che le cronache dell’epoca descrivono come “né giovane né vecchio, né magro né grasso, né bianco né nero”. Sui cinquant’anni e di temperamento superbo, pare amasse ornarsi di gioielli e uscire, sempre alla stessa ora.
Fatto ancora più angosciante nessuno degli invitati alle sue feste si ammalò mai del terribile morbo che sterminò mezza Europa. Da qui la credenza popolare che nel corpo del marchese Ludovico Acerbi si celasse in realtà il Diavolo in persona.
Di famiglia nobile con il titolo di marchese di Cisterna, ricevette l’incarico di curare gli interessi della corona spagnola presso la Santa Sede. Nel 1595 fu nominato dal viceré di Napoli conte di Olivares reggente delle Gran Corte della Vicaria dove rimase fino al 1598. Nel 1600 tornò a Milano, dove comprò un palazzo, che poi prese il suo nome, all’inizio del Corso di Porta Romana dove conduceva una vita di grande dispendio, con feste sontuose, in una città sempre più malridotta e impoverita.
Il popolo gli attribuì il nomignolo di Diavolo di Porta Romana. Durante la peste del 1630, la stessa descritta dal Manzoni nei Promessi sposi, nonostante il marchese fosse già morto da anni, venne ugualmente accusato di continuare la sua vita dissoluta ed ostentata, percorrendo a folle velocità le vie cittadine sulla carrozza trainata da cavalli neri.
Il palazzo è rimasto dove era, in Corso di Porta Romana 3, con un austero ingresso e facciata in stile “barocchetto lombardo”, con mascherine leonine ornamentali e balconcini in ferro (aggiunti, però, nel Settecento). All’interno, due corti porticate su colonne (la seconda in rococò con statue e rampicanti), il fronte su tre piani, ampi saloni in marmo che il marchese adornò con sculture, quadri di gran pregio, stucchi, specchi e tappezzeria di seta. Un vasto e luminoso scalone a tre rampe che conduceva all’appartamento padronale. C’era anche un giardino abbellito da piante esotiche e fontane.
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