Lo sapevate? Quale è la via più stretta di Milano?

Lo sapevate? Quale è la via più stretta di Milano? (PRIMA PUNTATA) In pieno centro città c’è una strada nascosta, non semplice da trovare. Ha due primati (in realtà tre, poi vedremo anche perché), il secondo non così edificante.. Si
Lo sapevate? Quale è la via più stretta di Milano?
(PRIMA PUNTATA) In pieno centro città c’è una strada nascosta, non semplice da trovare. Ha due primati (in realtà tre, poi vedremo anche perché), il secondo non così edificante.. Si tratta della strada più stretta di Milano ed è stata anche teatro degli omicidi del primo serial killer della città, il mostro di Milano. Scopriamo dove si trova e che cosa evoca.
Vicino a Via Torino, tra Via Nerino e Via Santa Marta, c’è una strada lunga e stretta. Si chiama via Bagnera, e un tempo si chiamava proprio Stretta Bagnera: è la via più stretta della città, corta e realmente minuscola. Il nome Bagnera deriva dai bagni pubblici che qui si trovavano ai tempi dei romani. Fino a qualche tempo fa non era considerata neanche “via”, tanto questo vicolo è angusto. A metà circa della stradina, c’è una curva che la restringe ancora di più e impedisce di vederne l’uscita dall’altra parte.
La via è anche nota per essere stata il teatro degli omicidi del primo serial killer della città, il mostro di Milano (una sorta di Jack lo Squartatore in salsa meneghina), avvenuti nella metà dell’Ottocento. Una via stretta, che mette i brividi: nonostante questa nomea, comunque, via Bagnera è anche uno dei luoghi preferiti e quindi più romantici per gli innamorati che si trovano a Milano.
Centocinquantacinque passi, tanto è lunga la stretta Bagnera, una strada dove le macchine non riescono a entrare. La vecchia pavimentazione in pietra è rimasta quella dell’Ottocento, del decennio dal 1849 al 1859. Qui furono perpetrati quattro omicidi per mano del primo serial killer italiano, che era solito agire proprio in quella strada, in una cantina del vicolo che parte da via Santa Marta, nel primo tratto che comincia da piazza Mentana, di fronte alla Società di incoraggiamento di arti e mestieri, e arriva in via Nerino. Qui Antonio Boggia, così si chiamava il serial killer meneghino (ma nato a Urio, sul lago di Como, nel 1799) abitò per un paio di decenni al numero 8 e al numero 10 assieme alla moglie Daria, che faceva la portinaia, e a due figli.
Come riporta un vecchio articolo del Corriere della Sera, Boggia aveva precedenti penali per truffa e tentato omicidio in Piemonte, era un muratore capomastro ma era insospettabile, perché conduceva infatti una vita tutta casa, chiesa e famiglia.
Alto, capelli bianchi, gli occhi vispi, di solito calmo, con fare affabile, a meno che non avesse bevuto un bicchiere di troppo, Boggia aveva uno speciale fiuto nell’individuare le vittime, che dovevano essere ben fornite di soldi.
Il primo malcapitato si chiamava Angelo Ribbone, era addetto al caricamento delle stufe nella caserma di via Cusani. Ribbone, che aveva lavorato come manovale con il Boggia, aveva messo da parte la bella somma di 1.400 svanziche, che gli servivano per un progetto matrimoniale. Il giovane uomo alto e con un naso prominente venne attirato nella cantina della stretta Bagnera, dove il suo ex capomastro aveva il laboratorio, e venne finito con un colpo di ascia. Per il povero fuochista fu scavata la prima buca nella cantina della stretta Bagnera, dopo che il corpo era stato sezionato in tre pezzi. Poi cominciarono le manovre per recuperare il denaro, custodito da una parente. Boggia aveva una serie di non si sa quanto consapevoli complici che gli servivano da calligrafi (Borghi) o da testimoni negli studi notarili per certificare documenti falsi (Besozzi e Lisska). Grazie anche al lassismo di qualche studio notarile, l’assassino riuscì a recuperare i soldi della sua vittima e subito dopo si rimise all’opera.
La seconda vittima, un mediatore d’affari, Giuseppe Marchesotti, venne fatto fuori nel 1850, sempre con lo stesso metodo. Marchesotti, che frequentava le aste e che aveva in tasca 4.000 svanziche per un affare da combinare col Boggia, venne attirato nella cantina della Bagnera dove fu fatto fuori con la stessa modalità: colpo in testa, buca, sepoltura.
Nel 1851 la macabra fine toccò all’artigiano Pietro Meazza. In quello stesso anno Giovanni Comi, un sensale, si salvò perché scese nella cantina della stretta Bagnera senza togliersi il rigido cappello a larghe tese. Comi riuscì a fuggire e ad evitare il secondo colpo, Boggia se la cavò con qualche mese in un manicomio criminale.
Nella prossima puntata andremo a scoprire come si concluse questa storia incredibile.
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