Opere d’arte milanesi: il Quarto Stato, uno dei massimi capolavori del Novecento italiano

Il quarto stato è un dipinto a olio su tela (293×545 cm) del pittore italiano Giuseppe Pellizza da Volpedo, realizzato dal 1898 al 1901 e conservato al Museo del Novecento di Milano. Si tratta di uno dei massimi capolavori del periodo e ha avuto una grande influenza nella cultura di massa. Scopriamo tutte le curiosità legate a questa famosa opera d'arte.
Opere d’arte milanesi: il Quarto Stato, uno dei massimi capolavori del Novecento italiano.
Il quarto stato è un dipinto a olio su tela (293×545 cm) del pittore italiano Giuseppe Pellizza da Volpedo, realizzato dal 1898 al 1901 e conservato al Museo del Novecento di Milano. Si tratta di uno dei massimi capolavori del periodo e ha avuto una grande influenza nella cultura di massa. Scopriamo tutte le curiosità legate a questa famosa opera d’arte.
Il Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo è un’opera che rappresenta le rivendicazioni dei lavoratori di fine Ottocento. Il quadro fu terminato da Giuseppe Pellizza da Volpedo nel 1901, dopo un’elaborazione di quasi dieci anni.
Il quarto stato raffigura un gruppo di braccianti che marcia in segno di protesta in una piazza, presumibilmente quella Malaspina di Volpedo. L’avanzare del corteo non è violento ma lento e sicuro, a suggerire un’inevitabile sensazione di vittoria: era proprio nelle intenzioni del Pellizza dare vita a «una massa di popolo, di lavoratori della terra, i quali intelligenti, forti, robusti, uniti, s’avanzano come fiumana travolgente ogni ostacolo che si frappone per raggiungere luogo ov’ella trova equilibrio».
Il dipinto intende celebrare l’imporsi della classe operaia, il «quarto stato» appunto, a fianco del ceto borghese.
In primo piano, davanti alla folla in protesta, sono definiti tre soggetti, due uomini e una donna con un bambino in braccio. La donna, che Pellizza plasmò sulle fattezze della moglie Teresa, è a piedi nudi, e invita con un eloquente gesto i manifestanti a seguirla. Alla sua destra procede quello che probabilmente è il protagonista della scena, un «uomo sui 35, fiero, intelligente, lavoratore» (come affermò lo stesso Pellizza) che, con una mano nella cintola dei pantaloni e l’altra che regge la giacca appoggiata sulla spalla, procede con disinvoltura, forte della compattezza del corteo. Alla sua destra vi è un altro uomo che avanza muto, pensoso, con la giacca fatta cadere sulla spalla sinistra.
La quinta costituita dal resto dei manifestanti si dispone sul piano frontale.
Le figure dei contadini sono disposte orizzontalmente, secondo i dettami della composizione paratattica: questa soluzione compositiva, se da un lato ricorda il classicismo del fregio, dall’altra evoca brutalmente una situazione molto realistica, quale può essere – per esempio – una manifestazione di strada. È in questo modo che Pellizza fonde armoniosamente i «valori riferiti all’antica civiltà classica alla moderna consapevolezza dei propri diritti civili»; questo connubio si manifesta anche nelle reminiscenze rinascimentali dell’opera, che si ispira nell’espressività delle figure direttamente a capolavori quali la Scuola di Atene di Raffaello[16] e l’Ultima Cena di Leonardo da Vinci.
Sulla tela si affacciano i volti di numerosi amici di Pellizza, spesso anche loro nativi di Volpedo. Con riferimento all’immagine qui proposta, di seguito vengono riportati i modelli che hanno posato per l’artista nell’esecuzione del Quarto stato:
Il quarto stato fu mostrato al pubblico per la prima volta alla Quadriennale di Torino nel 1902 e non riscosse, almeno inizialmente, successo.
Il successo del Quarto stato arrivò grazie alla stampa socialista e le innumerevoli riproduzioni allegate in alcune riviste.
Pellizza tentò varie volte di esibire Il quarto stato in altre mostre, ma senza riuscirci: i comitati espositivi infatti, temendo la pericolosità del soggetto, rifiutarono sempre di esporlo. Pellizza riuscì a vedere la propria opera d’arte esposta in una mostra solo una volta, nel 1907, a Roma alla Società promotrice di Belle Arti: l’artista si suicidò, non ancora quarantenne, il 14 giugno dello stesso anno.
Il dipinto nel 1921 entrò a far parte del patrimonio della Galleria d’Arte Moderna trovando collocazione nel castello Sforzesco. L’opera rimase visibile in quel luogo fino agli anni trenta quando, durante la riorganizzazione fascista degli allestimenti del museo, venne confinata in un deposito, da cui riemergerà solo nella metà degli anni cinquanta. In quegli anni il dipinto diventò talmente importante da essere definito il “monumento più alto che il movimento operaio abbia mai potuto vantare in Italia”. Con lo sviluppo dei mezzi di comunicazione, Il quarto stato è stato divulgato anche al di fuori degli ambienti artistici e letterari, approdando nel cinema: in tal senso, fondamentale fu Novecento, film del 1976 diretto da Bernardo Bertolucci ove il quadro pellizziano fa da sfondo ai titoli di testa.
Il quarto stato rimase a palazzo Marino fino al 1980, quando fu spostato nella Galleria d’arte moderna di Milano, in una sala interamente dedicata al divisionismo; dal dicembre 2010 trovò la sua collocazione definitiva nel museo del Novecento, di cui costituisce la prima opera esposta, a testimonianza del riconoscimento del suo valore artistico.
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