Come si chiama il bastone del pastore in sardo campidanese?
In Sardegna ogni oggetto ha una storia, e spesso dietro i gesti più semplici si nasconde un mondo di tradizioni antiche, tramandate con orgoglio da generazioni. Tra questi simboli, il bastone del pastore occupa un posto speciale: fedele compagno di viaggio, strumento di lavoro e, a suo modo, emblema di autorità e saggezza. Ma come si chiama in sardo campidanese questo oggetto tanto familiare eppure così carico di significato?
La risposta è bàculu, una parola che racchiude in sé secoli di storia linguistica e culturale. Il termine, usato nel Campidano per indicare sia il bastone vero e proprio sia la stampella, deriva dal latino baculum, a sua volta adottato in diverse lingue, come lo spagnolo báculo, mantenendo intatto il senso di sostegno e stabilità. In passato, il bàculu era ben più di un semplice arnese: realizzato con legni resistenti come l’olivastro o il lentisco, veniva modellato a mano dal pastore stesso, che lo personalizzava con incisioni o decorazioni simboliche. Ogni curva, ogni segno raccontava qualcosa del suo proprietario, del gregge che conduceva, dei sentieri battuti e del tempo trascorso nelle campagne sarde. Nella tradizione agropastorale, il bastone era anche un’estensione dell’identità del pastore, un compagno inseparabile nei lunghi mesi trascorsi tra gli ovili e le montagne. Ecco perché ancora oggi il bàculu non è solo un oggetto del passato, ma un simbolo della Sardegna più autentica, quella che non dimentica le proprie radici. Chiamarlo con il suo nome sardo significa riconoscere la dignità e la storia di una parola che attraversa i secoli e continua a evocare la forza, la pazienza e l’ingegno di chi, con un semplice bastone in mano, ha imparato a leggere il vento e a camminare al passo della natura.