Lo sapevate? Perché in molte vecchie case sarde compare ancora all’esterno la scritta DDT?
Una data e una sigla, DDT, che evocano non sempre bei ricordi. Che cosa significano queste lettere e questi numeri?
Lo sapevate? Su tante vecchie case della Sardegna, ancora oggi, si può scorgere una scritta scolorita, semplice ma carica di storia: DDT, accompagnata da una data. Non è un mistero, ma un frammento di una delle più grandi operazioni sanitarie mai tentate nel Mediterraneo. Quelle lettere non indicano una consegna o un documento fiscale, come accade oggi, ma raccontano un’epoca in cui l’isola fu teatro di un esperimento tanto ambizioso quanto controverso: l’eradicazione della malaria.
Tra il 1946 e il 1950, la Sardegna venne scelta come campo d’azione per il colossale “Sardinia Project”, promosso dagli Stati Uniti d’America e finanziato in parte dalla potente Fondazione Rockefeller e dalla UNRRA (United Nations Relief and Rehabilitation Administration), con il sostegno decisivo del malariologo Alberto Missiroli. L’obiettivo era chiaro e radicale: eliminare completamente l’Anopheles labranchiae, la zanzara responsabile della trasmissione della malaria.
Per farlo, si decise di utilizzare in maniera massiccia il DDT, un composto chimico sintetizzato nel 1873 e già impiegato con successo a Napoli contro il tifo e a Castel Volturno contro lo stesso anofele. Ogni abitazione trattata riceveva un contrassegno: la data dell’intervento e la sigla DDT, segno che quella casa era stata irrorata con il potente insetticida.
D.D.T. è la sigla del composto “Diclorodifeniltricloroetano”, insetticida fra i più noti e di cui, in Sardegna, appunto si è fatto largo uso nella lotta all’anofele malarica.
Il progetto fu ufficialmente approvato nel 1945 sotto il motto “Today Sardinia, Tomorrow the World”. Nel 1946 nacque l’ERLAAS (Ente Regionale per la Lotta Anti-Anofelica in Sardegna), responsabile della logistica, del personale, degli uffici, dei mezzi e dell’arrivo del DDT, spedito direttamente dall’Inghilterra. Tuttavia, non tutti credevano nel piano. Il medico scozzese John Austin Kerr, esperto nella disinfestazione in Egitto e nominato supervisore dell’ERLAAS, espresse gravi dubbi sulla fattibilità dell’intervento: mancavano studi sull’habitat della zanzara, che in Sardegna era presente da prima dell’uomo, capace di adattarsi e sopravvivere anche lontano dagli insediamenti umani. Kerr, deluso anche dall’inefficienza del personale, spesso scelto per raccomandazioni politiche più che per merito, si dimise.
Subentrò allora John Alexander Logan, che rilanciò con decisione l’operazione, mappando in modo meticoloso l’intero territorio sardo per individuare i focolai della malaria, ma anche per affrontare un’invasione di cavallette che stava peggiorando ulteriormente la situazione agricola dell’isola.
Fu uno sforzo titanico: vennero mobilitate 32.000 persone, armate di pompe, fuoco e perfino dinamite. Ogni angolo della Sardegna – pozze, stagni, chiese, nuraghi, case, stalle – venne irrorato con DDT, senza preoccuparsi troppo delle conseguenze ecologiche e sanitarie. L’intera isola si trasformò in un laboratorio a cielo aperto.
Ma fu davvero un successo? Secondo alcuni storici e scienziati, no: il DDT fu solo uno dei tanti fattori che contribuirono alla progressiva scomparsa della malaria in Sardegna. Decisivi furono anche le bonifiche ambientali, la ricostruzione post-bellica e l’aumento generale del benessere. Eppure, mai prima di allora si era vista una tale mobilitazione: un intero popolo coinvolto in una battaglia comune, un raro esempio di coordinamento e cooperazione. Anche se, va detto, ci furono tensioni con gruppi della malavita locale, preoccupati che tra gli operai potessero nascondersi forze dell’ordine pronte a catturare latitanti.
Oggi, quelle scritte DDT sulle mura delle vecchie case non sono solo un ricordo della lotta contro un’infezione mortale, ma anche la traccia indelebile di un momento storico in cui la Sardegna si trovò al centro del mondo. Una battaglia silenziosa, combattuta con fusti chimici e scarponi da lavoro, che cambiò per sempre il volto dell’isola.