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Theodor, Giuseppe, Marco e Gaia: le vite nascoste sotto i ponti di Cagliari

senzatetto a Cagliari

Cagliari, la città del sole e del mare, nasconde tra le sue strade angoli di dolore e solitudine che in pochi vedono davvero. Sotto i cavalcavia, tra il rumore incessante delle auto che sfrecciano sopra di loro, vivono uomini e donne che, per il resto del mondo, sembrano non esistere. Ma hanno nomi, storie, sogni spezzati. Se al solo pensiero può sembrarvi difficile, vi assicuro che vederli dal vivo, entrarci, percepirne l’aria e l’odore è inumano. Sporcizia, inquinamento, fango, freddo, afa, umidità senza contare topi e insetti di ogni genere.

C’è Theodor, un tempo pittore e creativo, che ha trasformato il suo angolo di strada in un surreale “atelier”. Quando mi avvicino a lui con la cena calda preparata dai volontari dell’associazione Amici della Strada Sardegna, lo trovo seduto su un materasso improvvisato, lo sguardo perso chissà dove. Intorno a lui, addobbi di Natale fuori stagione, come se quei colori potessero ricordargli che esiste ancora qualcosa di bello al mondo, che non sia solitudine, povertà, freddo.

C’è Giuseppe, un uomo di circa sessant’anni, curvo su sé stesso, che accumula sacchetti pieni di oggetti raccolti chissà dove. Il suo rifugio è una tenda piantata sotto il cavalcavia, il suo tetto è il cemento, il suo sfondo è il traffico indifferente che scorre sopra di lui, veloce e ignaro della sua esistenza, di quella vita-non-vita che si svolge qualche metro al di sotto.

Poi ci sono Marco e Gaia, che condividono una roulotte sotto un ponte. Vivono di elemosina, degli aiuti dei volontari, di qualche cliente di lei. Un tempo avevano una vita normale, lavoravano negli alberghi del Nord Italia. Poi, qualcosa si è rotto. Quando, perché? Forse nemmeno loro lo sanno più.

E mentre loro lottano per sopravvivere, il dibattito pubblico si concentra sul “decoro urbano”, infastidito dalla presenza dei poveri, più che dalla povertà stessa. Troppo spesso si riduce la questione a una colpa individuale, ponendo l’accento sulla colpa del singolo, dimenticando che la povertà non è una scelta, ma il risultato di politiche sociali inadeguate, di un sistema che esclude invece di accogliere.

La busta con la cena: spaghetti caldi, frutta, acqua, paste di pasticceria, qualche manicaretto preparato come sempre da Antonio Mura, uno dei volontari.

A Cagliari, sotto i ponti non vive solo la disperazione, ma anche la resistenza. Ci sono persone che dormono in auto, in casolari abbandonati, chi riesce a trovare posto nei dormitori solo per qualche notte, prima di tornare a rifugiarsi sotto un porticato o in stazione. La casa è un lusso che molti non possono permettersi, e non parliamo solo di stranieri o di persone sole, ma anche di sardi che, travolti dalla crisi, si trovano senza un posto in cui sentirsi al sicuro.

Queste storie non sono eccezioni, sono il sintomo di una società che ha bisogno di guardare davvero, oltre i numeri, oltre i giudizi. Perché la povertà non è un fastidio da nascondere, ma una ferita collettiva da curare.

Ringrazio, per avermi fatto conoscere i senzatetto e le loro storie, i volontari dell’associazione Amici della Strada (il presidente Roberto Carrus, insieme ad Ignazio Puddu e Antonio Mura).

 

 

 

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