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Lo sapevate? Che cosa vuol dire in sardo “matafalùa”?

Matafalùa

Matafalùa

Lo sapevate? Che cosa vuol dire in sardo “matafalùa”?

Un altro nome curioso nell’infinito lessicale del sardo, qui in versione campidanese. Che cosa è sa matafalùa e da dove deriva questo vocabolo?

Lo sapevate che in sardo esiste una parola curiosissima, “sa matafalùa”? Sì, proprio così! È uno dei tanti gioielli dell’infinito vocabolario della lingua sarda, questa volta nella sua affascinante versione campidanese. Ma che cosa si nasconde dietro questo termine dal suono così musicale? E da dove arriva? Le varianti di questo vocabolo sono diverse, come spesso accade nel ricco panorama dialettale sardo: si può dire “matafalùga” o “matafaùa”, ma il significato rimane sempre lo stesso. Sa matafalùga è il nome con cui si indica l’anice, o meglio, i semi del finocchietto selvatico, un’erba profumatissima e versatile. La parola ha origini lontane e arriva direttamente dallo spagnolo “matalahuga”, portando con sé tutta l’eco delle contaminazioni linguistiche che la Sardegna ha vissuto nella sua storia.

Finocchio selvatico

Anticamente, sa matafalùga non era solo un ingrediente da cucina, ma un vero e proprio rimedio della medicina tradizionale: veniva utilizzata come tonico ed eccitante, una sorta di piccolo “elisir di energia” alla portata di tutti. Oggi il suo uso è più gourmand che medicinale: è un tocco aromatico essenziale per insaporire salsicce dal sapore unico e anche per regalare all’acquavite quel profumo inconfondibile che sa di tradizione e convivialità. Una parola, una pianta, una storia che ci raccontano quanto sia ricca di sfumature e significati la cultura sarda.

 

 

 

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