Lo sapevate? Che cosa è “s’arriali” così tanto nominato in uno dei detti campidanesi più citati?
Avete mai sentito questo detto? Sicuramente sì: “Cussu piccioccu bolliri s’ou, sa pudda e s’arriali (quel ragazzo vuole l’uovo, la gallina e s’arriali”, il reale). Che cosa è s’arriali?
Il proverbio campidanese volere “S’ou, sa pudda e s’arriali” rappresenta un affascinante esempio della ricchezza culturale e linguistica della Sardegna, offrendo uno sguardo unico sulla mentalità e la storia dell’Isola. Questa espressione, che si traduce letteralmente come “L’uovo, la gallina e il reale”, viene utilizzata per descrivere una persona eccessivamente pretenziosa o viziata, che desidera ottenere tutto senza accettare compromessi. La forza di questo detto risiede nella sua metafora tripartita, dove ogni elemento assume un significato simbolico profondo: “s’ou” (l’uovo) rappresenta il beneficio immediato, “sa pudda” (la gallina) simboleggia la fonte di produzione a lungo termine, mentre “s’arriali” (il reale) si riferisce al denaro, in particolare a una moneta storica che aggiunge un interessante strato di complessità storica al proverbio. L’elemento più intrigante di questo detto è proprio “s’arriali”, che ci conduce in un affascinante viaggio attraverso la storia monetaria della Sardegna. Il “reale” era una moneta introdotta durante il periodo della dominazione spagnola, specificamente dagli aragonesi, e continuò a essere utilizzata anche sotto il successivo dominio piemontese. Questa presenza monetaria nel proverbio ci permette di datare approssimativamente l’origine del detto, collocandolo in un periodo storico che va dalla dominazione spagnola a quella piemontese, arricchendo così il proverbio di un contesto storico che lo rende ancora più affascinante.
È interessante notare che il “reale” non era una moneta esclusiva della Sardegna; infatti, monete con questo nome furono coniate in vari stati italiani e stranieri, ciascuna con le proprie caratteristiche e valori. In Sardegna, l’ultimo reale fu coniato nel 1812 da Vittorio Emanuele I, e aveva un valore di 1/4 di lira o 1/300 di scudo sardo, un dettaglio che ci offre una precisa collocazione temporale per l’uso di questa moneta nell’Isola. Il proverbio, nella sua semplicità apparente, riflette la profonda saggezza di una società agropastorale, utilizzando elementi quotidiani come uova e galline, facilmente comprensibili da tutti, insieme a un riferimento monetario più sofisticato per creare una potente metafora sulla moderazione e il realismo nelle aspettative. È un invito, spesso rivolto ai più giovani o agli ambiziosi, a non essere eccessivamente avidi o irrealistici nei propri desideri, ricordando l’importanza di accontentarsi e di comprendere i limiti delle proprie possibilità. Esistono anche varianti di questo detto, come “Non fait a tenni s’ou, sa pudda e s’arriali” (Non si può avere l’uovo, la gallina e il reale), che mantengono lo stesso significato di base ma lo esprimono come un’impossibilità oggettiva piuttosto che come una critica diretta al comportamento di una persona. Queste varianti dimostrano la flessibilità e l’adattabilità del proverbio, che può essere modellato per adattarsi a diverse situazioni mantenendo intatto il suo messaggio centrale.
Questo proverbio sardo può essere paragonato a espressioni simili in altre culture, come l’italiano “Non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca”, o l’inglese “You can’t have your cake and eat it too”. Tutte queste espressioni condividono il tema comune dell’impossibilità di ottenere tutti i vantaggi senza compromessi o sacrifici, dimostrando come questa saggezza sia universalmente riconosciuta in diverse culture. La persistenza di questo proverbio nel linguaggio quotidiano sardo testimonia non solo la sua efficacia comunicativa ma anche la sua rilevanza continua nella società moderna. Nonostante i cambiamenti economici e sociali che hanno trasformato la Sardegna nel corso dei secoli, il messaggio di moderazione e realismo contenuto in “Cussu piccioccu bolliri s’ou, sa pudda e s’arriali” rimane sorprendentemente attuale, offrendo una guida pratica per navigare le complessità della vita contemporanea. In conclusione, questo proverbio campidanese è molto più di un semplice detto: è un pezzo di storia orale che racchiude in sé elementi di cultura, economia e saggezza popolare sarda. Riflette la mentalità pratica e realistica di una società che valorizzava la moderazione e comprendeva l’importanza del compromesso, trasmettendo questi valori attraverso le generazioni. Attraverso l’analisi di questo proverbio, possiamo apprezzare non solo la ricchezza linguistica del sardo ma anche la profonda saggezza radicata nella cultura tradizionale dell’Isola, offrendo uno sguardo unico sulla filosofia di vita e sui valori che hanno plasmato l’identità sarda nel corso dei secoli.