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Lo sapevate? Qual è e come fu scoperto il bronzetto nuragico più grande finora ritrovato?

Lo sapevate? Qual è e come fu scoperto il bronzetto nuragico più grande finora ritrovato?

I bronzetti nuragici rappresentano una eccezionale testimonianza artistica (e non solo) della sempre più affascinante civiltà nuragica. Il più grande, conservato adesso al Museo Archeologico di Cagliari, fu ritrovato nel 1849. Scopriamo dove.

 

I bronzetti nuragici sono statue miniaturistiche in bronzo tipiche della civiltà nuragica sarda. Furono realizzate tra la fase finale dell’età del Bronzo e l’età del Ferro e la loro funzione era quella di ex voto: rappresentano una incredibile testimonianza dell’antica civiltà isolana e rappresentano una delle poche attestazioni sicure di come si svolgesse la vita circa tremila anni fa.

Durante gli scavi archeologici sono stati ritrovati più di cinquecento bronzetti, soprattutto nei luoghi di sepoltura e di culto come tombe dei giganti, santuari, pozzi sacri e templi, nonché nei villaggi e nei nuraghi.

Il più grande bronzetto nuragico mai ritrovato venne alla luce grazie all’eccezionale scoperta effettuata nella località di Monte Arcosu, oggi oasi montana protetta. Qui nel 1849, furono rinvenuti otto bronzetti votivi, databili all’età del Ferro (930 – 730 a.C.) tutti attualmente esposti nel Museo Archeologico Nazionale di Cagliari. Il gruppo comprende un fromboliere, due lottatori raffigurati in posizione di lotta, un arciere, un guerriero con scudo e spada, due oranti, una spada votiva con cervo infilzato e un capotribù. Quest’ultimo, alto circa 40 cm, risulta essere il più grande bronzetto nuragico finora ritrovato; indossa una doppia tunica, ampio mantello, copricapo a calotta, una bandoliera da cui pende, sul petto, un pugnaletto ad elsa gammata e un bastone nodoso. Sul mantello, all’altezza delle spalle, si notano due lembi sfrangiati, forse di una stola.
La vicenda del ritrovamento di questi bronzetti è avvolta nel mistero in quanto nelle zone circostanti non sono state rinvenute tracce né di sepolture né di edifici di riferimento, come ad esempio un santuario.

Il ritrovamento a Uta di otto bronzetti nuragici avvenne nel giugno del 1849, ad opera di un carpentiere, il quale si trovava nella zona per tagliare legname; l’uomo in prossimità di un masso vide comparire la testa della statuina più grande.

Per estrarlo si fece aiutare da altri compagni e lì sotto rinvennero gli otto bronzetti con altrettante spade di bronzo.
Tutte le statuine sono della stessa epoca e, sembrano realizzate dalla stessa mano; rappresentano la più valida testimonianza dell’esistenza di vita umana nella zona di Uta nel periodo nuragico.

 

 

I bronzetti rappresentano la forma d’arte più nota tra quelle prodotte dalla cultura nuragica.

Ma come sono state prodotte queste piccole e antiche opere d’arte? I bronzetti sono stati realizzati con la tecnica della cera persa.


Tale tecnica prevedeva, in una prima fase, la realizzazione in cera del modello di oggetto che si intendeva realizzare in metallo; in una seconda fase si rivestiva l’oggetto in cera con argilla refrattaria; nella fase finale si versava il bronzo fuso al posto della cera.

Queste statuine, create (si ritiene) con funzione di ex voto, raffigurano una vasta gamma di personaggi: arcieri, opliti, pugilatori, lottatori, varie figure femminili, vari tipi di animali, numerosi oggetti legati alla vita quotidiana, modellini di nuraghe, navicelle e altro ancora.
Si tratta per noi di una preziosa fonte iconografica, capace di restituirci uno spaccato molto efficace e suggestivo del mondo nuragico.

Se, come si è detto, non sembra esservi dubbio tra gli studiosi sull’attribuzione della già citata funzione di ex voto a questa categoria di oggetti, non del tutto chiaro appare la loro cronologia (oscillante, a seconda delle opinioni, tra la fine del Bronzo finale e la piena Età del Ferro).

I bronzetti misurano da pochi centimetri fino a 35-40 cm e ritraggono persone di varie classi sociali, guerrieri, capi tribù, divinità, animali ma anche oggetti della vita quotidiana delle popolazioni protosarde come vasi, armi in miniatura e carri o modelli di nuraghe. I soggetti rappresentati sono importanti anche per le implicazioni culturali che ne scaturiscono. Per esempio le rappresentazioni di cane col collare, carro a due ruote, vagonetto a quattro ruote con coperchio o l’arciere che cavalca in piedi.

Tra le statuette spiccano per quantità e per raffinatezza le navi (le cosiddette navicelle nuragiche), che formano il più grande numero di copie in scala di vere e proprie barche antiche, sia in confronto alle popolazioni della stessa epoca che degli altri periodi, a dimostrazione della grande familiarità delle popolazioni nuragiche con il mare e la navigazione.

Le più belle collezioni si possono ammirare nel Museo archeologico nazionale di Cagliari, nel museo nazionale archeologico ed etnografico G. A. Sanna di Sassari, e nei musei di Nuoro e Oristano oltre che nei musei locali dove si trovano i principali siti archeologici dell’Isola.

Numerosi esemplari sono stati ceduti al tempo degli scavi a collezioni private e a musei italiani ed esteri e si trovano in città quali Torino, Roma (museo nazionale preistorico etnografico Luigi Pigorini, museo nazionale etrusco di Villa Giulia), Firenze, Crotone (museo archeologico nazionale di Crotone), Londra (British Museum), New York e Los Angeles (Getty Museum). Al momento non è stato ancora effettuato un censimento delle opere degli antichi sardi presenti nei musei esteri.

Diversi sono anche i casi di bronzi sardi messi all’asta da famose case come Sotheby’s o Christie’s. Molti altri bronzetti purtroppo sono stati venduti nel mercato nero dei reperti archeologici.

Esiste un mercato della storia e del valore della cultura e di un popolo, esistono anche per questo quotazioni e case d’aste internazionali e le quotazioni della storia archeologica, culturale ed artistica dell’isola non fanno sorridere.

Qualche anno fa la base d’asta era 30000-40000 euro, prezzo che già allora era evidentemente bassissimo, nonostante ciò il costo della storia isolana è ulteriormente in calo e se una cultura la si valuta in base al proprio valore di mercato non c’è proprio da stare sereni.

Oggettivamente piuttosto che essere svendute altrove i frutti della storia e della cultura isolana andrebbero tutelati in loco.
La tristezza di fondo è quella di constatare come il prezzo sia irrisorio rispetto al loro valore artistico e culturale.

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