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Il ricordo di Peppino Dentoni, internato militare sardo che scelse la prigionia pur di non schierarsi con la Germania nazista

Il ricordo di un internato militare sardo che scelse la prigionia pur di non schierarsi con la Germania nazista.

Quanti sono stati i militari sardi internati nei campi nazisti dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943? Difficile ancora dare una risposta definitiva. Furono comunque migliaia (almeno 7500 secondo ricostruzioni recenti, oltre 650mila italiani) gli Imi (Internati Militari Italiani) sardi che quel giorno tra lo schierarsi con la Germania nazista o contro, scelsero di andare contro Hitler. Una decisione coraggiosa: per questo motivo furono catturati, deportati, maltrattati, uccisi nei numerosi campi di lavoro e prigionia del Nord Europa. Furono utilizzati come schiavi, usati come forza lavoro (nella migliore delle ipotesi) nelle fabbriche tedesche e nei campi. Tra questi c’era anche mio nonno, Peppino, Giuseppe Dentoni, finanziere imbarcato, di stanza in quei giorni nel Dodecaneso, le isole italiane dell’Egeo, che adesso fanno parte della Grecia (proprio come accadde nella finzione scenica a Diego Abatantuono e ai suoi colleghi militari nel film “Mediterraneo”, di Gabriele Salvatores).

Quasi tutti i sardi erano nei Balcani, in Grecia, in Albania. Fanti, carabinieri o finanzieri, molti di loro vennero presi direttamente dalle caserme, o lungo le frontiere. Gli Imi furono protagonisti di una resistenza civile, silenziosa, di cui si sa poco perché nella ricostruzione della Liberazione le loro vicende sono finite in secondo piano rispetto ai partigiani combattenti.

Furono mandati nei lager in Germania, Austria e in Polonia. Furono resistenti in tutti i sensi, non cambiarono idea e non aderirono all’esercito della Repubblica di Salò. Così restarono internati, privati dai tedeschi dello status di prigionieri di guerra, gli ufficiali negli Oflag, le truppe negli Stalag.

Anche mio nonno era un Imi, un militare che, dopo l’otto settembre del 1943, fu fatto prigioniero dai tedeschi. Era motorista navale, in Grecia. Allora aveva 34 anni. Il campo in cui fu internato era Gemeinschaftslager Wesermünde Lehe (provincia di Hannover), in Germania.

Le uniche 3 cartoline postali inviate a mia nonna avevano un timbro molto rovinato..Nonno è sopravvissuto, sì, ma è tornato, a 35 anni, praticamente senza denti e così debole da temere di ammalarsi di TBC. Aveva persino una pallottola in un braccio: un militare tedesco gli aveva sparato perché inizialmente non volle consegnare la fede del matrimonio. Poi, povero, è morto per un ictus a 65 anni, senza aver avuto mai un disturbo. Avranno influito la fame e il freddo e la disperazione di quei campi? Erano considerati dei traditori, poco meno maltrattati dei sovietici o degli ebrei. Non erano considerati militari nemici prigionieri e, di conseguenza, non avevano I diritti stabiliti per quelle persone, niente aiuti della Croce Rossa, nemmeno pacchi da casa, a parte il primo periodo. Poi infatti scrisse a mia nonna Erminia di non mandargli più nulla, perché tanto non gli davano niente. E dire che lei si sarebbe tolta l’anima per mandargli qualcosa. Mangiava rape, solo rape. L’unica volta che i tedeschi prepararono carne, il giorno prima erano stati fucilati dei militari sovietici.. Nonno non mangiò quella carne.

Giuseppe Dentoni in Grecia.

Quando ritornò, dopo quattro anni di prigionia terribile, mia nonna lo vide e svenne.

La Giornata della Memoria è anche per lui. Per lui e per tutti gli Internati Militari sardi e italiani che soffrirono nei campi di prigionia della Germania nazista.

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