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Quanti luoghi “patrimonio dell’umanità” ci sono in Sardegna? E quali sono?

L’unico sito visitabile, ufficialmente riconosciuto dall’Unesco è il sito archeologico di Barumini, Su Nuraxi, patrimonio mondiale dal 1997. Nel 2008 l’organismo delle Nazioni Unite ha riconosciuto il “Canto a tenore”come espressione della cultura immateriale.

Nel 2013, invece L’Unesco ha stabilito che anche le Feste delle Grandi Macchine a Spalla in tutta Italia venissero riconosciute patrimonio immateriale e tra queste ovviamente non poteva mancare la suggestiva “Faradda di li candareri”.

L’Unesco, è un’organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura, istituita a Parigi 4 novembre 1946 nata con lo scopo di costruire una pace duratura attraverso l’educazione, la scienza, la cultura e la collaborazione fra nazioni. Ne fanno parte quasi 200 stati, tra i quali naturalmente l’Italia che detiene il record col maggior numero di riconoscimenti. La sede centrale si trova a Parigi e una volta all’anno la commissione degli stati membri si riunisce per esaminare le candidature, ogni nazione può presentarne due per volta.

Nel 2015 fu istituita una nuova categoria, quella dei geoparchi, la “Unesco Global Geoparks”, ne furono individuati 120 nel mondo, 10 in Italia tra i quali quello sardo. “Il Parco Geominerario della Sardegna, che si estende in tutta l’isola e copre 377 Comuni, con oltre 1 milione e seicentomila abitanti, veicola i valori e gli strumenti per la protezione del patrimonio culturale, costituito dal contesto e dalle tecniche geologiche, dall’archeologia industriale, dalla documentazione del lavoro nelle miniere e dagli insediamenti, le tradizioni, le conoscenze e gli eventi legati all’attività mineraria. Il territorio può essere suddiviso in 8 grandi aree in base alle caratteristiche minerarie e alla storia, rappresentata da quasi 8 mila anni di sfruttamenti minerari”. Queste le motivazioni alla base del riconoscimento.

Infine nel 2017, dopo l’introduzione di un’ulteriore categoria, quella delle “Riserve della biosfera”, alla Sardegna viene riconosciuto a pieno titolo il sito “Tepilora, Rio Posada e Montalbo”, per le sue peculiarità ambientali. Questi i riconoscimenti assegnati alla nostra isola. Il meccanismo per accedere a questo ambito titolo però è lungo, farraginoso e soprattutto costoso. Ogni nazione ha una sua commissione Unesco. Nel nostro paese le proposte sono presentate da Amministrazioni competenti per la gestione del sito quali il Sindaco, la Soprintendenze o l’Ente Parco, al Presidente del Gruppo di Lavoro interministeriale presso il Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Tale gruppo valuta le diverse proposte pervenute ai fini della compilazione della nuova Lista propositiva.

Ogni anno il Ministero per i Beni e le Attività Culturali decide quali Siti già presenti nella lista propositiva, debbano essere presentati al Comitato per il Patrimonio Mondiale. Al momento nella “Tentative list” italiana ci sono 4 candidature sarde : Arcipelago della Maddalena e isole delle Bocche di Bonifacio, Golfo di Oristano e penisola del Sinis, il Sulcis Iglesiente e infine l’Isola dell’Asinara. Sebbene questi riconoscimenti siano prestigiosi e dal punto di vista turistico costituiscano un valore aggiunto, dal punto di vista economico non portano nessun vantaggio, anzi la documentazione, la certificazione e le relazioni degli esperti richieste per la candidatura comportano un notevole dispendio di risorse.

Secondo un’inchiesta condotta dalla giornalista Milena Gabanelli per Repubblica, nel 2008, la Sardegna per promuovere la candidatura del “Canto a tenore” ha speso 350mila euro. Cifra che, qualora la candidatura fosse stata bocciata, non avrebbe avuto indietro. Non solo, una volta ottenuto il riconoscimento l’ente preposto alla sua gestione si impegna a garantirne la tutela, aspetto positivo questo, se non fosse che la tutela è a spese degli enti locali e dello Stato.

I Geoparchi, per esempio, sono soggetti, ogni 4 anni, ad un riesame del loro funzionamento e della loro qualità. Al termine di questo processo per la conferma di validazione il Geoparco riceverà una carta verde se risponde ancora pienamente ai criteri (in tal caso conserva lo status), oppure una carta gialla se non risponde più ai requisiti (in tal caso gli viene dato tempo due anni per adeguarsi), oppure una carta rossa se nei due anni seguenti alla carta gialla non si è adeguato alle prescrizioni (in tal caso perde definitivamente lo status). Attualmente infatti il Parco geominerario della Sardegna è sorvegliato speciale perché non sono stati rispettati gli standard richiesti.  Secondo l’inchiesta della Gabanelli solo nel 2018 l’Italia ha versato 12.237.220 di dollari all’Unesco, mentre quest’ultima destina solo il 3% del proprio budget, determinato dal contributo degli stati membri, per la tutela di tutti i siti riconosciuti il resto viene utilizzato per gli stipendi dei dipendenti e il funzionamento dell’organismo.

 

Recentemente si sta cercando di rilanciare la candidatura dell’Isola dell’Asinara che già presente da anni tra i siti candidati nella “Tentative list”, in questi giorni viene rilanciata grazie alla collaborazione tra l’Ateneo di Sassari, l’Ente Parco Asinara e la Soprintendenza. Resta da chiedersi se davvero la ricaduta economica in termini di promozione turistica ci sia e a quanto ammonti, perché attualmente non esistono studi in merito, che spieghino se e quanto convenga investire in una candidatura, visto che comunque i fondi per la tutela e la conservazione dei nostri beni patrimonio mondiale dell’umanità non li mette l’umanità, ma gli enti locali e l’Italia. Probabilmente se i soldi versati ogni anno all’Unesco li utilizzassimo per la conservazione dei nostri tesori si otterrebbero risultati migliori di quelli di una targa con la dicitura “Patrimonio mondiale dell’umanità”.

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