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Lo sapevate? Durante il Medioevo a Cagliari c’era una confraternita che si occupava di seppellire i condannati a morte

Lo sapevate? Durante il Medioevo a Cagliari c’era una confraternita che si occupava di seppellire i condannati a morte.

Questa storia va di pari passo con l’edificazione della chiesa e della cripta del Santo Sepolcro, situata nel cuore del quartiere di Marina. Una storia antica e affascinante, fatta talvolta di tristezza, morte e disperazione che inizia con tutta probabilità nel XIV secolo (anche se sempre più studiosi tendono a pensare si trattasse di un luogo sacro persino in epoca paleocristiana, la scoperta di una fonte battesimale adiacente, lo testimonia) e si lega secondo alcuni studiosi alla figura dei  Cavalieri Templari.

 

La zona, situata nel quartiere di Bagnaria, poi Lapola (l’odierno quartiere Marina) fu occupata dalla Confraternita del Santissimo Crocifisso, chiamata anche dell’Orazione o della Buona Morte. Quest’ordine religioso, istituito nel 1564,  si occupava soprattutto di dare degna sepoltura agli emarginati, ai poveri, agli sbandati e soprattutto ai condannati a morte. Ecco perché prima dell’editto napoleonico i cimiteri si trovavano, anche a Cagliari, all’interno della città e quindi sotto le chiese (la zona di sepoltura erano due cripte intercomunicanti e l’odierno sagrato). Dopo la creazione del cimitero di Bonaria, nel 1829, la zona sepolcrale della Marina fu abbandonata.

 

 

 

 

Ma a creare ulteriore attenzione sulla zona della chiesa fu la scoperta delle due cripta e di una enorme quantità di scheletri, come riposta un documento redatto dal Comune di Cagliari.

Nel 1992, infatti, in occasione dei lavori di ristrutturazione della Chiesa, furono effettuati dei controlli accurati sul sottosuolo per risolvere un problema di umidità nella chiesa. Fu così che venne individuato un grande vano ricolmo di terra misto a ossa umane. Quelle ossa erano i resti del vecchio cimitero del quartiere.
Con molta probabilità furono gli stessi confratelli del Santissimo Crocifisso ad occuparsi di quelle sepolture.
Non è chiaro se quella cripta sia legata a uno o due cimiteri, ma di certo racconta un passato di solitudine e di emarginazione; racconta il gesto caritatevole di alcune persone, la loro premura nell’assicurare una tomba a poveri e sventurati uniti nella morte dallo stesso destino di miseria.

La cornice di questa storia è appunto la cripta funeraria: un vano in tre stanze al quale si accede attraverso una breve scalinata subito appena varcato l’ingresso della Chiesa. Gli spazi sono stati probabilmente ricavati nella roccia e la sepoltura avveniva tramite cumuli di terra stratificata.

Il vano principale è interamente dipinto di nero, con la tecnica della tempera a carbone, come se le pareti fossero rivestite da funesti tendaggi. Sulla volta a botte è raffigurata la morte, rappresentata in abito regale, che nella mano destra tiene una falce con su scritto “Nemini Parco” (lugubre monito che significa “non risparmio nessuno”) e nell’altra una clessidra, simbolo del tempo che scorre.

La morte ha forma umana femminile ed è rivestita con un ermellino.

Fu Mauro Dadea, archeologo, a scoprire il 17 gennaio del 1992 quello che lui stesso definisce “il maggiore esempio di architettura funeraria barocca dell’intera Sardegna”.