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Se oggi avessi 10 anni sarebbe per me un giorno molto triste

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Se anziché 34 anni oggi ne avessi 10, questo sarebbe un giorno molto triste. Sarebbe il giorno in cui il mio idolo, il capitano e numero 10 della mia squadra del cuore, il Cagliari, ha fatto le valigie per una nuova avventura calcistica. Dalla Sardegna al Bosforo con biglietto di sola andata, alla corte di uno dei club più prestigiosi e titolati di Turchia, il Fenerbahche, dove il blu resta, ma il rosso si stinge per diventare un pallido giallo.

Se avessi oggi 10 anni sulla mia guancia sinistra ci sarebbe forse una lacrimuccia, cagionata dal ricordo di quella parola ripetuta con gioia per ben 86 volte: “Gol!”. Perché il calcio è uno sport semplice e – senza nulla togliere agli altri 10 che scendono in campo – ci si affeziona sempre un po’ di più a quello che per ultimo tocca la palla prima che si gonfi la rete avversaria.

João Pedro Geraldino dos Santos Galvão, nato a Ipatinga il 9 marzo 1992 se n’è andato (per sempre?) da quella che è stata la sua casa per 8 anni. Segno zodiacale Pesci, il mio, malinconico, emotivo, sensibile, lunatico. JP10 non è il classico brasiliano tutto samba e alegria. A Cagliari nessuno lo ha mai visto girare con una maglietta sgargiante o alla guida di una vistosa macchina sportiva. Nessuno lo ha mai “sorpreso” a bere drink la notte nelle terrazze panoramiche della città vecchia. I suoi profili social sono piuttosto sobri. La famiglia prima di tutto: la moglie Alessandra, siciliana di Palermo, e i due figli André Felipe ed Elisabetta, un nome brasiliano e uno italiano per rimarcare la sua doppia anima azzurro-verdeoro, suggellata dalla (purtroppo) sfortunata unica presenza con la Nazionale italiana.

Ma torniamo al discorso principale: se oggi avessi 10 anni sarebbe un giorno molto triste. Che poi anche quelli della mia generazione hanno vissuto “emozioni” simili. Al termine della stagione 1995-1996 Lulù Oliveira, il “belga-brasiliano”, mio idolo di allora, salutò il rossoblù per i Viola di Toscana. Dal Cagliari alla Fiorentina per 9 miliardi di Lire più il cartellino di Giacomo Banchelli. Quel giorno la foto che mio papà scattò a me e a mia sorella all’uscita dello stadio Sant’Elia insieme a quel simpatico e sorridente uomo riccioluto che faceva gol bellissimi, divenne un ricordo triste. E chissà quanti selfie dei bambini di oggi salvati sulla memoria degli smartphone dei genitori, si tramuteranno in malinconia futura. Malinconia per quel pallone che non è entrato in porta a Venezia, per quegli attimi da sliding doors che non sono valsi il rinnovo di una promessa.

Ma a JP10 oggi non vogliamo rimproverare nulla. Se c’è qualcuno di questi deludentissimi anni rossoblù che ricorderemo con il sorriso, sarà proprio questo ragazzo brasiliano atipico dal carattere timido e riservato, capace di scappare a sinistra come pochi per poi accentrarsi rapido e puntare dritto verso la porta. Non c’è spazio oggi per i sentimenti negativi, per l’amarezza di un saluto commosso che arriverà troppo tardi o per il biasimo di una voce da capitano tenuta a volume troppo basso dopo la cocente disfatta di questo 2022. Oggi c’è spazio solo per un grazie e un buona fortuna. E forse anche per una lacrimuccia, nonostante, di anni, ne ho molti più di 10

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