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Lo sapevate? Nella cripta della chiesa di Sant’Avendrace c’è una sorgente ritenuta miracolosa

Lo sapevate? Nella cripta della chiesa di Sant’Avendrace c’è una sorgente ritenuta miracolosa.

 

Sant’Avendrace deve questo nome al santo del I secolo, Avendrace (Tenneru o Arennera in sardo), quinto vescovo di Cagliari, che avrebbe trovato il martirio proprio dove sorge la parrocchiale a lui dedicata, edificata su un antico ipogeo ancora visitabile. Nella cripta di questa chiesa si trova una sorgente la cui acqua è ritenuta miracolosa. Ricostruiamo la storia della chiesa.

I registri parrocchiali attestano l’esistenza del tempio dal XVII secolo (al ‘600 risale anche un disegno della chiesa, custodito nella Biblioteca Universitaria), tuttavia non si conosce la data della sua fondazione, che secondo la tradizione avvenne sul luogo della morte del Santo. La chiesa sorse sopra un piccolo ambiente ipogeo, che oggi ne costituisce la cripta, tradizionalmente considerato il luogo dove il vescovo si rifugiò nel tentativo di sfuggire alle persecuzioni e dove, dopo la morte, sarebbe stato sepolto il suo corpo. Nella stessa cripta si trova anche una sorgente d’acqua ritenuta miracolosa.

Avendrace nacque intorno all’anno 45 d. C. nel villaggio  di Hypis (Ippis o Gippi), antico villaggio del Campidano, nel territorio dell’odierna Serramanna.

Come riporta il sito della parrocchia di Sant’Avendrace (https://www.santavendrace.it/) agli inizi del XIV secolo il territorio della Chiesa di Sant’Avendrace si estendeva fino a Decimomannu. Si chiamava Regione di San Venerio o Santu Tenneru e venne donato dal Re Alfonso di Spagna a Bernardo Castagni.

 

Un prezioso prospetto della Chiesa ci è stato lasciato dal Carmona (Carmona – Alabancas de los Santos de Sardena del 1631 – pag. 125). Il tempio era una costruzione romanica a navata unica con abside ribassata, tetto a capanna e campanile a vela. La facciata e le pareti laterali erano decorate ad archetti e due piccole finestre laterali per parte davano luce dalla parte alta. Un proporzionato oculo circolare apriva il timpano, sovrastando la lunetta della porta rettangolare. Come altre chiese similari conservate ai tempi d’oggi, dentro era intonacata di colore bianco o leggermente colorata e l’altare era addossato all’abside in un presbiterio leggermente innalzato. Nel 1614 l’altare era situato sulla perpendicolare della tomba del Santo, in corrispondenza dell’attuale scala di accesso, mentre l’ingresso della chiesa era dalla parte opposta, in riva allo stagno, infatti prima dell’edificazione della ferrovia lo stagno era molto più vicino alla Chiesa. Nella Chiesa, sopra l’altare, si trovava un grande retablo con la figura dipinta di Sant’Avendrace al centro e la scritta in latino: “A San Venerio, Arcivescovo di Cagliari”. Doveva essere sufficientemente alta se mostrava un retablo in pittura di 5 o 6 palmi. In tale anno, secondo la relazione Delbecchi fu demolito il vecchio altare ed il retablo antichissimo, su cui Sant’Avendrace era dipinto con mitra e bacolo pastorale e sotto la scritta: Venerio AR.PUS CALA..NUS. Come era la nuova raffigurazione sopra l’altare: il Santo era raffigurato con le infule vescovili, mentre resuscitava un morto e contemporaneamente sedava una tempesta e fugava un mostro. Non mancava il corvo che gli portava un pane.

Un antico manoscritto latino del 1766 così tradotto dice: “Siamo stati colpiti da una grotta sotterranea che si dice e si crede sia stata la sua tomba, sotto forma di un bellissimo piccolo tempio il cui ingresso è coperto in legno con archetti perfetti”.

Su tale perpendicolare stava il grande altare della chiesa antica, demolito nel 1614 per ordine del vescovo di allora monsignor Desquivel, alla ricerca dei resti mortali del Santo.

Nel corso dell’Ottocento, la chiesa di Sant’Avendrace è descritta molto bene dal canonico Giovanni Spano nella sua “Guida storica di Cagliari” edita nel 1861: all’ingresso dal Viale Sant’Avendrace c’era una mezza colonna di lumachella (roccia calcarea compatta costituita in massima parte di gusci di conchiglie fossili marine usata come pietra ornamentale), simile a quella che stava in piazza del Carmine, ed un viale alberato portava fino alla Chiesa. Essa era molto semplice e povera, con 4 cappelle laterali e l’altare centrale, senza l’abside e più corta di 6 m rispetto all’attuale. Nella prima cappella a sinistra entrando, dedicata alla Madonna del Rosario, vi era al centro un bel dipinto della Vergine con San Domenico a destra e Sant’Avendrace alla sinistra. Nel paliotto ligneo si poteva ammirare un’altra pittura raffigurante la Madonna che libera le anime del Purgatorio. Era molto interessante la presenza, in una nicchia vicina, di una bella scultura della Vergine dei Rosario del Pili circondata da 15 ovali di legno, dipinti finemente ad olio (conservati gelosamente), sebbene siano copiati. Vicino, chiuso da un rastrello a pavimento (una inferriata a pavimento). Vi era l’ingresso di un piccolo santuario scavato nel corpo della chiesa, che si dice sia stata la sepoltura del Santo Titolare, ha una piccola volta a botte e nella fine vi è una mensa per celebrarvi la messa. La seconda cappella veniva dedicata a Sant’Avendrace. L’altare centrale era situato all’altezza della gradinata del presbiterio, e dentro una nicchia sistemata in alto troneggia una bella statua del Santo Titolare. All’altro lato, nella prima cappella uscendo, vi era un simulacro di Sant’Efisio, raffigurato in una statua di legno dorato molto antica. Nella cappella seguente una statua in abiti, della Vergine dei Dolori, di poco conto. Tra le due cappelle, una nicchia con una meravigliosa statua di Gesù Risorto, opera del Lonis.

Nel corso del Novecento la chiesa è andata progressivamente decadendo tanto che l’allora parroco Adeodato Massa (su Preri Massa dalle spiccate doti profetiche) chiede al Comune di Cagliari il versamento di un contributo simile a quello già concesso in precedenza ” visto lo stato di povertà della chiesa, mancante persino del campanile e dell’orologio.

Lo stesso don Massa, nel Liber Cronicon, oltre ad un’ampia descrizione degli arredi della chiesa riporta ciò che egli stesso ha realizzato ex novo: tutti i cinque altari della chiesa (il maggiore più quelli laterali), tutte le 4 cappelle laterali e cioè quella di Sant’Antonio, dell’Assunta, del Sacro Cuore e del Rosario (in quest’ultima colloca il battistero proveniente dalla chiesa della Santissima Annunziata); dieci nicchie in marmo; tre ambienti attigui alla chiesa di cui il più piccolo destinato ad archivio; le pitture della volta e delle cappelle, lo stucco lucido alle pareti delle cappelle e le dorature dell’altare maggiore; il pavimento in pianelle di cemento su tutta la chiesa e i locali attigui; le balaustre del presbiterio e delle cappelle; la ricostruzione dei muri di cinta del piazzale de del restrostante “vecchio cimitero” (attuale cortile posteriore); l’elevazione della porta e del cancello; la riparazione delle tettoie e del piccolo campanile; l’acquisto di tre campane nuove (due per il campanile e una per l’interno) benedette poi dal vescovo Monsignor Saturnino Peri; la lapide marmorea nel sepolcro di Sant’Avendrace; acquisto di otto nuove statue e due angeli in legno smaltati di bianco (scomparsi); del cospicuo arredo di oggetti e paramenti sacri non rimane quasi nulla. I lavori curati da don Massa, che si collocano tra il 1900 e il 1920, conferiscono alla chiesa l’aspetto che risulta nella foto più antica esistente del 1937, aspetto che rimarrà fino al 1954, quando verranno completati i lavori di ampliamento con la costruzione dell’abside.

Dopo la prima guerra mondiale, nel 1921 l’allora Parroco Monsignor Giuseppe Orrù, (che fonderà dopo la Seconda guerra mondiale la “Congregazione delle Ancelle della Sacra Famiglia”) lanciò un programma di poche parole “Chiesa più grande e più bella” e mobilitò tutto il quartiere. Ciascuna famiglia s’impegnò a versare mensilmente una cifra secondo le proprie possibilità, in questo modo venne raccolta una somma consistente. Anche le associazioni religiose contribuirono realizzando un teatrino domenicale il cui incasso venne devoluto per i lavori della Chiesa. Il 12 agosto del 1923 viene benedetta la statua del santo patrono, statua che ora non c’è più. Nel 1929 Monsignor Orrù divenne canonico e rettore del Seminario Arcivescovile e lasciò la cura della parrocchia al dott. Salvatore Cabras, che fece eseguire lavori di ripristino degli intonaci, di tinteggiatura, e ampliò lo scarso impianto elettrico della Chiesa, ponendo in opera delle luci alle pareti, mentre dietro l’altare venne sistemato l’organo antico. Il muro posteriore, dietro l’altare era in linea con l’ultimo arco, ed aveva due grandi finestroni ed al centro una grande nicchia dove c’era la statua di Sant’Avendrace. In Chiesa vi era già il bel pulpito in marmo policromo (realizzato in marmo dalla ditta Luigi Onali, costato 3000 lire e inaugurato il 13 settembre 1920; esso sostituiva il vecchio e fatiscente pulpito in legno che nel 1918 era stato portato dalla chiesa di San Francesco da Paola) e la balaustra in marmo con l’inginocchiatoio, dalla cui fattura a lume di naso e sull’alea dei ricordi, parrebbe certamente di fattura settecentesca: mentre la cripta era divenuta sempre accessibile in quanto il vano della scala era recinto da una bella ringhiera in ferro battuto opera dell’artigiano Eusebio Atzeni, di Sant’Avendrace.

Una foto degli anni trenta descrive la chiesa piena di fregi e di ornamenti.

Il trenta luglio del 1930 viene effettuato un sopralluogo della Soprintendenza B.A.P.P.S.A.E. nella chiesa e nella cripta e poi con una nota scritta dichiarare che nulla di monumentale si rilevava, eccezion fatta per la Tomba del Santo.

Grandi trasformazioni sono avvenute dopo il 1950.

La via Isonzo, la vecchia e sopracitata “Via di Chiesa”, confinante per un lungo tratto col lato sinistro della chiesa e col cortile antistante e retrostante, era una strada molto stretta, denominata “Su Strintu de Cresia”, forse da prima dell’edificazione del viale.

Nella via Isonzo erano posizionate, alte fuori terra circa un metro, due grosse tubazioni di diametro di circa 40-50 centimetri cadauna, tubature dell’Agip (simili a quelle che erano posizionate in viale La Playa ed in Via San Paolo) che servivano per inviare i combustibili dal deposito costiero di via Santa Gilla ai depositi ad uso militare di via Col Dechele e dintorni. Una di queste tubazioni ebbe una perdita e la benzina penetrò sul suolo, per giungere alla falda freatica causando l’inquinamento della sorgente d’acqua dolce, acqua non clorata, sempre esistita nella cripta e ritenuta miracolosa dai devoti (e non) di Sant’Avendrace. Il parroco d’allora, don Salvatore Lecca, nativo di Monserrato, poi divenuto notaio e decano della Curia, una mattina, accedendo alla cripta, sentì un forte odore di benzina. Ragionando sulle conseguenze possibili non vi scese con una candela accesa, ma tornò indietro per munirsi di una torcia a batteria. Si rese conto subito che l’odore di benzina proveniva dalla sorgente e che solo le condutture di fianco alla Chiesa potevano essere le cause di tale infiltrazione. Prese i debiti contatti con l’Agip che subito intraprese i lavori per eliminare la perdita e per bonificare la zona. Ritenne, come risarcimento per le molestie causate alla popolazione, di dover intonacare la cripta con ricca malta cementizia, trasformando così la tomba del Santo in un “bunker di trincea”. Cosa fece la Soprintendenza non è dato sapere nè monsignor Lecca, più volte intervistato da Chicco Pusceddu, che lo ebbe come insegnante all’Istituto Bacaredda ed andò a fargli visita anche in tarda età, ebbe a dire che non ritennero di dover intervenire.
Ulteriori lavori e cambiamenti furono eseguiti nei decenni successivi ma l’aspetto più importante riguarda lo scavo fatto sotto la chiesa.

Particolarmente suggestivi e interessanti sono stati i risultati dello scavo archeologico dopo la rimozione del pavimento in tutta la chiesa. Oltre a numerosi reperti (per lo più frammenti ceramici che vanno dall’età punica a quella altomedievale) lo scavo ha portato alla luce numerosissime sepolture individuali (quasi 200 quelle complete con alcuni elementi di corredo funebre e risalenti per lo più al XVII-XVIII sec.) e resti di strutture murarie di epoca medievale che, nell’insieme, suggeriscono nuove ipotesi sulle fasi costruttive della chiesa antecedenti il XVII secolo.

Oggi la grotta è chiusa all’esterno con 3 grate di ferro fissate al pavimento. Si accede all’interno per mezzo di 19 gradini, originariamente scavati nella roccia e dal 1952 rivestiti di cemento. La grotta situata ad un dislivello di 3,70 metri, ha perso l’aspetto gretto e dal 1700 è a forma di piccolo tempio rettangolare con queste misure : lato lungo m 4,98, lato corto m 2,05, altezza ai lati m 2,10, altezza al centro m 2,60. La circolazione dell’aria avviene per mezzo di una canalizzazione ricavata sotto l’ingresso principale della Chiesa, con l’imboccatura iniziale di 65 x 53 cm e con filtro esterno di ferro. La tomba di Sant’Avendrace normalmente viene aperta al pubblico nel periodo delle celebrazioni in onore del Santo a marzo e a settembre.

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