Site icon cagliari.vistanet.it

Un pezzo di Kenya per le vie di Cagliari, dal “Kilimangiaro” Rose Odera: in cucina uno scambio fra culture

Kilimangiaro

Fra i tavolini del locale, in alto due bandiere: quella sarda e quella keniota. Davanti a un bicchiere di ottimo “amarula” , lo scambio di idee, racconti e cultura.

Dall’alba del Duemila, Rose Odera, 44 anni, porta con sé un pezzo di Kenya a Cagliari, con il suo ristorante “Kilimangiaro”. Prima, alcuni anni fa, nella via Iglesias; poi, dal 2017, nella via della Pineta. “Io l’unica keniota? No, siamo circa un centinaio, ognuno con la sua quotidianità qui in Sardegna. Qualcuno, sì, viene anche qui”. In Italia “da una vita”, come piace dire a Rose, prima nello Stivale, poi in Sardegna. Tra i fornelli tanta esperienza e passione nel raccontare coi piatti la sua cultura.

Una cucina semplice, quella della repubblica della Rift Valley e del lago Turkana, dove la capitale Nairobi vede incontrarsi persone di ogni dove. Nei piatti ci sono legumi, verdure, carne di pollo o pecora, un poco speziati. A pochi chilometri, nella vicina Tanzania, il massiccio del Kilimangiaro rappresenta l’imponenza dell’Africa e l’incontro di tante realtà. Da alcuni anni il suo nome è anche a Cagliari.

Pane – chapati, samosa alle verdure o di carne, chips di platano, maharague-zuppa di fagioli, stew di pecora, cous cous. Coi suoi piatti, preparati tra l’altro con ingredienti sardi, Rose supera le barriere del pregiudizio. “Quando una persona sente il menù, spesso è portata a dire ‘queste cose le ho già mangiate anche al mio paese e non mi piacciono’. Invece bisogna provare e poi giudicare. Ecco allora che spesso la gente poi si appassiona di un piatto che pensavano di conoscere già o non gradire”. Altre volte, c’è chi, tra i clienti di Rose, ritrova i sapori della sua infanzia, seppur “in salsa africana”: è questo il bello dell’intercultura.

Ma per Rose stare ai fornelli del “Kilimangiaro” non significa semplicemente preparare pietanze del suo Paese. “Bisogna prima di tutto conoscere la cultura, ovviamente anche culinaria, e ciò che piace al popolo con il quale ci si incontra. Così si fa un bilanciamento fra ciò che può piacere o no, e il piatto diventa così un momento di scambio fra culture diverse”. Spiega semplice, Rose, che altrettanto bene cucina malloredus e pastasciutta: del resto, se si incontra qualcuno, è necessario avere dei riferimenti.

44 anni e due figli, uno studente di Medicina e la più piccola, nata a Cagliari, al liceo scientifico. “Loro portano tanto dell’Africa, benché vivano qui. La parola ‘integrazione’? Non si deve perdere parte di sé stessi. Bisogna sapere convivere nel rispetto reciproco. In cucina, sì. Ma nei rapporti sociali, in amore e in amicizia”.

Exit mobile version