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Sardegna, arte e architettura: i maestri e le opere che raccontano la nostra Isola

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Ceramiche Walter Usai, foto NARENTE // Lucio Aru + Franco Erre

Opere che parlano di tradizioni, di un passato lontano, alle volte mitico, che si perde nel tempo e nella storia. Ma quanto è necessario conoscerlo, questo passato! Senza di esso non saremmo qui, non saremmo noi e se come sardi vogliamo rispettare in primis noi stessi per poi progredire verso un futuro migliore è importante anche conoscere i prodotti artistici e architettonici della nostra storia.

Chiese, opere d’arte, architettura civile, grandi artisti che hanno dato lustro alla nostra terra. Ecco qualche spunto utile per conoscere più da vicino la Sardegna e i suoi tesori.

Cattedrale di San Pietro di Sorres 

La cattedrale di san Pietro di Sorres è una delle più belle chiese in stile romanico-pisano che si trova su un colle di origine vulcanica in territorio del comune di Borutta, piccolo centro del Meilogu, in provincia di Sassari. La cattedrale si erge maestosa sull’estremo lembo orientale del pianoro omonimo, a circa 540 metri sul livello del mare. La sua costruzione è stata iniziata durante il pontificato del Beato Goffredo da Meleduno (1171-1178), e probabilmente condotta a termine nella prima metà del 1200.

L’armonia della chiesa colpisce subito l’occhio. L’abside è illuminato dal sole nascente che penetra nella chiesa da tre monofore, affascinando per la sua eleganza e per il suo stile architettonico. Sulla loggia si eleva la croce e il presbiterio si erge sopraelevato rispetto alla navata. Fu cattedrale della non più esistente diocesi di Sorres fino al 1503. Dal 1950 la chiesa e l’attiguo monastero ospitano una comunità di monaci benedettini sublacensi-cassinesi. I monaci di Sorres hanno attrezzato una “foresteria” per l’accoglienza di visitatori e per offrire loro la possibilità di ritrovare se stessi pernottando nel monastero.

Retablo di Tuili

L’opera, capolavoro cinquecentesco dell’arte sarda, una delle più elevate dell’arte di ambito isolano, fu voluta dai coniugi di Santa Cruz, Giovanni e sua moglie Violante, feudatari del paese di Tuili. Il retablo, dopo l’assenza durata un anno dovuta alla necessità di restauro, è ospitato nella chiesa di San Pietro Apostolo, la parrocchiale di Tuili, situata in piazza Chiesa. Il retablo cinquecentesco del Maestro di Castelsardo, detto Retablo di Tuili o Retablo di San Pietro, è opera considerata tra le massime espressioni artistiche del Rinascimento in Sardegna.

Nel settembre del 2018 l’opera restaurata del Maestro di Castelsardo è ritornata nella chiesa di San Pietro. Il restauro e l’esposizione di Torino, alla Venaria Reale, sono durati un anno: i lavori hanno soddisfatto tutti e la mostra ha incantato le migliaia di appassionati che hanno potuto ammirare il capolavoro. Il grande dipinto era minato dai tarli che ne stavano rovinando le cornici, con il rischio che parti della struttura imponente e pesante (il retablo è lungo cinque metri e mezzo di altezza per tre e mezzo di larghezza) potessero crollare. Ai tarli nel tempo si erano aggiunte anche le cadute di colore dovute a escursioni termiche e umidità: le tavole lignee dipinte a olio a tempera (separate dalle cornici dorate), in alcune porzioni avevano perso intensità, tanto che i restauratori erano stati costretti a inserire delle pezzette di protezione.

Fontana del Rosello

All’esterno dell’antica cinta muraria della città di Sassari sorge quello che per molti è considerato il simbolo cittadino, la Fontana di Rosello, nel suo genere, un monumento unico in tutta la Sardegna. Si tratta di un’architettura storica collocata al centro della Valle del Rosello sovrastata dal ponte omonimo, monumento unico in tutta la Sardegna.

È stata realizzata in stile tardo-rinascimentale ad opera di maestranze genovesi tra il 1603 e il 1606, con una tassazione pubblica di mille scudi. Nella sua forma attuale, con le sue dodici bocche, o Cantaros, e le quattro statue raffiguranti le stagioni, rappresenta allegoricamente il passare del tempo. Tre statue furono distrutte duranti i moti feudali del 1795 e tutte e quattro furono sostituite nel 1828. L’unica originale, seicentesca, è conservata nel Palazzo di Città. Sorta sopra l’antica fonte di Gurusele, che in epoca romana alimentava l’acquedotto che riforniva Turris Libisonis, l’attuale Porto Torres, da sempre era un punto di riferimento per i viaggiatori, usata dalle massaie per il bucato e dagli acquaioli che caricavano sui loro asini i barili da portare in città.

La ceramica in Sardegna

La lavorazione delle ceramiche in Sardegna è antichissima: alcuni dei musei dell’Isola hanno reperti che risalgono a 5000 anni fa. E dagli artigiani nuragici, passando per quelli punici, fino ai romani, ogni epoca ha la “sua” ceramica. Il primo documento ufficiale che testimonia la presenza nell’isola di una produzione ceramica è lo statuto del gremio dei figuli di Oristano del 1692. Nell’Ottocento il problema della ceramica sarda viene affrontato in modo radicale dal Lamarmora, il quale decise di impiantare in Sardegna industrie ceramiche per sfruttare l’ottima argilla disponibile nell’isola nella creazione di pianelle, tegole, mattoni per un’edilizia in rapida espansione.

Ceramiche Walter Usai

Il Novecento sancirà la definitiva consacrazione della ceramica sarda a livello nazionale. Lo sviluppo a livello alto di questo tipo di arte in Sardegna è iniziato intorno al 1920 grazie ad alcuni pittori e scultori, come Francesco Ciusa e Federico Melis. È datata 1919 l’apertura a Cagliari della S.P.I.C.A. (Società per l’Industria Ceramica Artistica) da parte di Francesco Ciusa, che chiuderà i battenti nel 1924. Ciusa fu anche direttore della Scuola d’arte decorativa di Oristano. Sempre nel 1919 Federico Melis, allievo di Ciusa, con la collaborazione di Vincenzo Farci aprì ad Assemini la prima scuola-bottega d’arte ceramica, poi trasferita a Cagliari nel 1927. Anche a Dorgali prese vita una scuola-bottega grazie a Ciriaco Piras, altro allievo di Ciusa, che impiantò una produzione ceramica che si avvaleva dei disegni di Salvatore Fancello, giovane artista formatosi a Monza.

Ceramiche Walter Usai

Anche oggi la passione per questo tipo di lavorazione sopravvive grazie alle botteghe di artigiani locali, che continuano a produrre splendide ed uniche creazioni. Oggi i centri più importanti di produzione della ceramica si trovano attorno ad Assemini e a Cagliari. Oristano, Pabillonis, Dorgali, Sassari e Siniscola sono i comuni detentori della tradizione più antica in questo settore.

Nelle immagini allegate, le opere di Walter Usai, ceramista che prosegue la tradizione di famiglia. Una storia iniziata nel 1840 che ha visto succedersi 5 generazioni di ceramisti. Nella produzione dell’artista si possono riconoscere due tratti distintivi: tradizione, radici di tutto e immancabile protagonista delle creazioni al tornio, e contemporaneità, frutto di ricerca, lavoro e sperimentazione. Dalle forme ai colori, Walter studia il “passato” per renderlo “presente”. Prodotti che raccontano la storia, diventano attuali, perché la tradizione di un mestiere antico non vada persa, ma si rinnovi mantenendo inalterato il profondo messaggio di un lavoro senza tempo.

“Madre dell’ucciso”, Francesco Ciusa

L’opera, datata 1907, è stata realizzata da Francesco Ciusa (Nuoro 1883 – Cagliari 1949) uno degli artisti più apprezzati e conosciuti della nostra Isola. Appassionato scultore, nelle sue opere esprime tutta la forza emotiva delle sue radici e tradizioni.

L’opera segnò il debutto di Ciusa alla Biennale di Venezia del 1907, anno in cui per l’artista isolano arriva il vero successo di critica e di pubblico. La realizzazione originale fu un gesso (cm 81,5 x 58 x 72,5), acquistato nel 1939 dalla Galleria Comunale d’Arte di Cagliari. Si conoscono successive cinque versioni in bronzo: la prima, su richiesta dell’allora Ministero della Pubblica Istruzione, fusa subito dopo l’esposizione del 1907, si trova alla Galleria d’Arte Moderna di Roma; la seconda sembrerebbe essere stata eseguita per un museo londinese; la terza per la Galleria d’Arte Moderna di Palermo; la quarta, nel 1983, per il Palazzo Civico di Cagliari; la quinta, nel 1985, per la tomba dell’artista nella chiesa di San Carlo in Nuoro.

La madre dell’ucciso

Ciusa decide di presentarsi, appena 24enne e dopo gli studi artistici compiuti a Firenze, alla Biennale di Venezia del 1907 accompagnato da ciò che ha di più caro: i miti, i simboli, le angosce della sua terra. E riesce a racchiuderli tutti in una scultura che li contiene e li esalta. La scultura è ispirata ad un accadimento reale che aveva colpito l’artista da bambino. La statua rappresenta una donna accovacciata al suolo,  dopo che ha visto morire il proprio figlio, raccolta su se stessa in una posa bloccata, ormai estranea a tutto, sola nel suo dolore assoluto e inconsolabile. Il pubblico veneziano ignorava il rito che la madre stava compiendo, quello della veglia funebre nuorese e forse questa potenza mistica ne ha sancito il successo.

Nella sua scultura, Francesco Ciusa incarna e riassume la Sardegna dell’epoca. Senza sforzo alcuno fin da subito è stata definita opera d’arte in quanto è, nel suo essere, senza tempo.

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