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Teatri chiusi in zona gialla ma chiese aperte in aree rosse: cercasi coerenza disperatamente

Vi propongo un giochino, si chiama “Trova le differenze”:

C’è un palco o un altare. Sopra delle persone che si muovono, parlano, cantano secondo un programma prestabilito. Non si tratta di essere blasfemi o irrispettosi, semplicemente di descrivere quanto avviene durante un rito religioso o uno spettacolo teatrale. Se poi il programma prestabilito è scritto sul messale o sul copione, ai fini della prevenzione sanitaria poco importa.

Ci sono gli spazi per il pubblico: che siano panche, sedie o poltroncine anche in questo caso non fa grossa differenza, quando chi si siede deve stare distanziato e con la mascherina. Le mani si possono disinfettare comunque, la temperatura si può rilevare in entrambi i luoghi.

Eppure in tutte le zone, gialla, arancione e rossa, tutti i teatri e persino i cinema, dove non si pone nemmeno il problema del palco e degli attori in presenza, secondo il Dpcm del 3 novembre restano chiusi. Le chiese, anche in zona rossa invece, restano aperte. E francamente individuare cosa abbia fatto la differenza per il legislatore è difficile da capire.

Se poi si pensa che il Premier Conte, i vari ministri interessati, il Comitato tecnico scientifico concordavano nell’optare per un lockdown meno rigido per non bloccare ulteriormente l’economia del Paese, la domanda sorge spontanea: quanti posti di lavoro di salvano tenendo aperte le chiese? Quanti se ne bruciano chiudendo cinema e teatri?

Eppure un fedele può anche pregare a casa sua, dopo tutto Gesù lo capirà, Dio lo sa che se non si potrà confessare o non potrà comunicarsi, la colpa è di Conte e dei suoi Dpcm. Ma un’attrice, un tecnico, un regista, una ballerina se non lavorano, non potranno mangiare. Persino nelle zone rosse, quelle più a rischio, le chiese sono rimaste aperte e l’unica precauzione adottata, scusate se sorrido, ma non resisto, è l’autocertificazione, che il fedele dovrà presentare nel caso venisse fermato mentre si reca alla funzione.

Davvero, spiegateci come avete ragionato, perché altrimenti saremo costretti a pensare che la ratio che vi ha guidato è stata quella di attribuire più importanza all’esigenza dei credenti di praticare il culto, rispetto a quella dei lavoratori di portare a casa il pane. Dobbiamo dedurre che il credente è più importante dello spettatore, che la religione è più importante della cultura?

Non ci resta che sperare, vista la situazione, che Nostro Signore abbia un occhio di riguardo e visto che la sua casa è rimasta aperta decida di metterci una buona parola e metta lui la parola fine a questa pandemia che ci sta devastando. Così magari anche i lavoratori dello spettacolo potranno ricominciare a lavorare, a Dio piacendo…

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