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Intervista all’artista. Manu Invisible, il famosissimo street artist dal volto celato dietro una maschera

Cela la sua faccia dietro una maschera ma arriva al cuore delle persone con la sua arte: Manu Invisible, street artist di origini sarde ma con lavori disseminati in tutto il mondo, fa spesso parlare di sé.

Le sue opere sono un potentissimo mezzo di comunicazione: tramite esse, lo spettatore diventa partecipante attivo in quello che è un processo di comprensione.

«Ho sempre avuto una forte vicinanza al disegno, sin dalla più tenera età, è attraversando difficoltà giudiziarie e superandole che poi ho capito che questa fosse la mia strada» racconta lo street artist. «È un discorso di continuità affrontato con costanza e passione, lo stesso equilibrio che c’è nelle cose, nei rapporti e in tutti i versanti della vita umana».

Ma come mai la maschera?, gli abbiamo chiesto.

«La maschera è diventata un elemento distintivo, quasi come una nemesi. Nasce per tutelare la mia vita privata, e continuare a dipingere nelle strade a scorrimento veloce, come ho sempre fatto. Rappresenta anche un’iconografia molto presente nella mia terra d’origine: la maschera in Sardegna».

I suoi studi hanno comunque forgiato una personalità artistica particolare, come ci racconta.

«Ho frequentato il liceo artistico Foiso Fois, dove mi son diplomato, in seguito ho studiato prima in accademia e poi in bottega (entrambi a Firenze) l’antica tecnica dell’affresco tradizionale, che si realizza come secoli fa, con materiali naturali. Il Liceo mi ha dato un fortissimo Imprinting, mi ha formato artisticamente e ha contribuito in quello che oggi è parte del mio processo creativo: L’arte relazionale».

Diverse le mostre collettive e personali che Manu Invisible ha svolto. «La prima che non verrà probabilmente sorpassata è l’esperienza al carcere minorile di Quartucciu in compagnia di Domus de Luna, si tratta di laboratori creativi in collaborazione con i detenuti: anno 2006/2009. Le altre son varie: 2015 l’opera “WARld”a Bristol, nel 2017 “Influence” a Londra, nel 2018 “Le Jour & La Nuit” a Saumur in Francia, e nel 2019 le tre opere dedicate e realizzate in collaborazione con i bambini di Casa Tumaini a Nanjuki in Africa».

Due esperienze all’estero, Inghilterra e Bosnia, l’hanno fatto conoscere a livello internazionale.

«Influence è stata realizzata nel 2017 in collaborazione con “Global Street art” l’agenzia di promozione d’arte di strada più ampia a livello Europeo, si trova nel quartiere di Camden Town e parla dell’influenza della Brexit a discapito del resto d’Europa, con un focus particolare sugli aspetti di politica. Inizialmente infatti avrei voluto sviluppare la parola “Brexit” ma successivamente è stata censurata perché troppo esplicita. Successivamente a questo intervento ho intrapreso una collaborazione diffusa con Art Backers e Andrea Concas per quanto riguarda una tiratura limitata di serigrafie in retinatura, che potessero documentare quest’opera, così importante per il mio percorso artistico. Le opere in Bosnia, in particolare a Srebrenica fanno parte del progetto autonomo “Portatori di colore” sviluppato in collaborazione con Alessio Cabras, fotografo che estende la sua ricerca in ambito internazionale, con collaborazioni come “L’Internazionale” e il “National Geographic” e Irvin Mujčić una figura che tiene molto a cuore l’arte e la cultura come promotore sociale, che ci ha fatto da guida in questa brillante collaborazione. Il progetto ha compreso sostanzialmente due interventi, una legale nella strada principale della cittadina: “SVIJEST” che in serbo/bosniaco significa “consapevolezza” e un’altra realizzata in una zona limitrofa della città che prende il titolo di “Dialogue“, un’opera dedicata al dialogo tra le religioni del mondo, ispirata alla forte concentrazione di queste in questa zona d’Europa fortemente contrastata e colpita, ma che permette un incredibile coesistenza di culture».

Ma la sua arte non è chiusa, circoscritta a un solo ambito.

«Mi occupo da sempre anche di realizzazione di quadri e spesso capita di inaugurare collettive o personali, ogni mia opera è legata a un periodo, a uno stato d’animo e difficilmente ne ho una preferita».

Sembra poi che il motivo comune di ogni suo nuovo lavoro sia lasciare un messaggio, un pezzetto di sé.

«Una grossa fetta della mia produzione e quindi anche della mia poetica, si basa su concetti motivazionali e positivisti, una sorta di “Training autogeno” per la società, in un periodo colpito profondamente da una crisi di valori, nel quale il passante/fruitore è il soggetto coinvolto a sua insaputa. La fisionomia del mio personaggio è legata a tutti questi aspetti, che ispirano e influenzano la mia arte dagli inizi del mio percorso, non vi è una motivazione particolare, semplicemente una normale ricerca stilistica, in linea con tutti i miei lavori e il mio credo».

Sì, ma cosa bolle in pentola per il conosciutissimo Manu Invisible?

«Progetti per il futuro… a settembre realizzerò un opera murale commissionata dall’Università di Roma 3 curata da Stefano Antonelli, e nella rassegna collettiva “Hegel Now!” nel quale saranno coinvolti moltissimi altri artisti, in una mostra collettiva».

 

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