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Fase 2, il mondo del teatro preoccupato: “Non sarà più come prima”

L’Italia sta gradualmente tornando a una parvenza di normalità. Ormai quasi tutte le attività stanno ripartendo. Tra le ultime che riprenderanno ci saranno anche i teatri che, insieme ai cinema, riapriranno ufficialmente il 15 giugno, naturalmente con le misure di sicurezza fondamentali. Gli operatori teatrali si sono sentiti trascurati, hanno chiesto risposte e in qualche modo le hanno avute. Su queste risposte c’è chi pensa siano adeguate e chi no. Ma tutti sono concordi sul fatto che, quando si alzerà il sipario, nulla sarà più come prima.

Dice Rita Atzeri, attrice e direttrice artistica della compagnia “Il Crogiuolo”: «Un minimo di attenzione c’è stato. L’emergenza ha fatto emergere la situazione di tanti artisti precari e non tutelati ed anche in questa direzione qualcosa si è mosso. Ma le misure prese sono inadeguate a rispondere alle reali esigenze del settore. Sull’operato del ministro Franceschini, come su quello del governo in generale, ho più di una perplessità. Vero è, comunque, che si sono trovati a fronteggiare una situazione completamente imprevedibile e di impatto devastante e che le problematiche emerse sono il frutto di 50 anni di politiche dissennate proprio negli ambiti, che per un paese sono strategici, della cultura, della scuola e della sanità. E l’ordine in cui cito queste categorie non è casuale. Investire in cultura significa creare cittadini consapevoli in grado di tutelare la propria scuola e la propria sanità pubblica. La nostra grande preoccupazione è la miopia della classe dirigente. Il teatro ha necessità di incontrare il pubblico, vanno create misure di sostegno che consentano di farlo in spazi all’aperto, senza che le responsabilità e gli oneri delle misure di sicurezza siano lasciate ai soli organizzatori. Quello culturale è un servizio da tutelare. Occorrono finanziamenti a fondo perduto per gli adeguamenti e sostegno alla produzione perché possa tutelare i lavoratori dello spettacolo. Preoccupano i tempi di erogazione degli interventi a sostegno e la retorica che spesso si nasconde dietro ad essi. Ripartire non è per niente semplice. Ragioniamo solo in termini di attività all’aperto per il momento. Per i mesi a venire aspettiamo di capire come muoverci e che risorse avremo per fare fronte alle norme di sicurezza. Al governo chiediamo misure di sostegno reali, che tengano conto del fatto che un ritorno a uno standard di relazione con il pubblico potrà aversi solo fra uno o due anni».

Per Andrea Ibba Monni, attore e regista della compagnia Ferai Teatro, «l’attenzione da parte del governo non è mai stata delle migliori. Il teatro è un settore che non smuove grandi numeri a livello di elettorato, quindi non è certamente una priorità politica: eppure basterebbe conoscerlo un minimo per capire che come radicalizza l’anima il palcoscenico non lo fa nessuno. L’arte ha un potere politico enorme, ma la classe dirigente è totalmente impreparata in materia. Ferai Teatro non si è mai sentita abbandonata dal governo perché non ha mai avuto aspettative a riguardo. L’obbiettivo è il pubblico: vogliamo che la gente capisca, tocchi con mano una realtà diversa da quella che immagina, vogliamo abbattere il pregiudizio di cui soffre il nostro settore; ma finché ci si comporta da buffoni a corte si avrà quel tipo di considerazione. Penso sia difficile governare, ancor più difficile governare l’Italia, pressoché impossibile governare il Ministero per i Beni e le Attività culturali e per il Turismo in Italia. ll teatro post-Covid sarà ancora più bello di prima perché se c’è una cosa che l’arte sa fare è reagire con vigore a una crisi. Purtroppo o per fortuna resisteremo in pochi e questo non so se sia un bene o un male. Stiamo valutando il da farsi, per ora consapevoli che è impossibile proporre uno spettacolo il 15 giugno perché dal 7 marzo siamo chiusi in casa impossibilitati a lavorare. Pare che dal 15 giugno si debbano tenere le distanze anche sul palco, misurare la temperatura a tutti, pubblico compreso. Il pubblico ha voglia dopo tre mesi di misure restrittive di sedersi in uno spazio chiuso con la mascherina addosso e assistere a uno spettacolo? Per quali storie vale la pena fare questo rito sacrificale? Lavoriamo a livello creativo, cerchiamo di non farci cogliere impreparati: per troppo tempo abbiamo pensato al come, adesso è ora di pensare al perché. Chiediamo al governo opportunità vere: non necessariamente soldi da investire ma anche solo spazi da utilizzare e soprattutto dignità lavorativa, rispetto».

Aurora Simeone, attrice della compagnia “Teatro del Sale”, dice che l’attenzione verso il settore teatrale è arrivata tardi: «Questa volta credo che siano serviti gli appelli dei più noti tra i colleghi. Purtroppo come molti anche noi abbiamo constatato la differenza tra quanto annunciato e i tempi reali di erogazione dei contributi, della cassa integrazione in deroga o dei prestiti alle imprese. Moltissimi non hanno ancora ricevuto nulla. L’operato del ministero della Cultura è stato a mio avviso poco efficace e troppo indirizzato verso improbabili spettacoli online, che esistono già e si chiamano in altro modo. Il teatro è dal vivo,  e il Ministero farebbe meglio a promuovere altre forme di presenza sulla rete, o nelle piazze quando sarà possibile, che non siano semplici “riprese”. Non serve un Netflix del teatro, serve rivedere tutto il sistema contributivo e sostenere  le produzioni meno finanziate anche in questa fase. Sono convinta che dovremo aspettare molto tempo per vedere realmente il “teatro post-Covid”». La fiducia non manca: «Persino dopo le grandi pandemie del passato, senza l’aiuto della tecnologia che ora ci viene in soccorso, gli spettatori sono tornati a teatro. Starà a noi saper proporre qualità quando sarà il momento. Penso che la grande paura, condivisa con molti imprenditori anche di altri settori, sia quella di non resistere ancora a lungo senza che il sostegno sia strutturato e sistemico. Per quanto riguarda la riapertura del 15 giugno, aspetteremo di capire come procede l’epidemia, per decidere se organizzare la 18esima edizione del nostro Festival Multidisciplinare, L’isola del teatro & l’isola raccontata, che quest’anno si chiamerà “MOVIMENTO”. Stiamo studiando meglio le nuove possibilità nella comunicazione e nella condivisione e curando un restyling delle nostre pagine in rete. Non siamo certi che il teatro possa tornare il 15 giugno. Abbiamo deciso di navigare a vista e soltanto quando saremo pronti, restituire questa crisi così profonda. Abbiamo investito del tempo a rendere più fruibile, anche per la rete, alcuni nostri progetti di didattica e animazione, ma non abbiamo trasmesso spettacoli nuovi online. Stiamo preparando la riapertura della nostra Biblioteca delle Arti e dei Mestieri dello spettacolo, in via Falzarego 35 a Cagliari, e portando avanti il complesso progetto BIXInAU, finanziato dal Mibact nel 2019 con il Bando Biblioteca Casa di Quartiere. Per quanto riguarda i più piccoli, siamo convinti che in un momento di saturazione di informazioni a loro dirette attraverso la rete, tra la didattica a distanza e il mantenimento dei rapporti e degli affetti familiari e amicali, chiedere la loro attenzione anche soltanto per mezz’ora sia davvero chiedere troppo. Parola di mamma, teatrante e bibliotecaria».

Secondo Maria Virginia Siriu, direttrice artistica della compagnia “Theandric Teatro Nonviolento”, nelle prime fasi dell’emergenza lo spettacolo è stata l’ultima preoccupazione: «Forse perché non viene considerato come una necessità primaria. In realtà la musica, il cinema e l’arte sono stati un supporto immediato nella vita quotidiana della quarantena. Solo dopo si è riflettuto  sul fatto che le opere d’arte sono il frutto dell’impegno di tanti lavoratori. Questi ultimi hanno faticato non poco a far sentire la loro voce. Dopo la protesta il governo ha inserito nei dpcm una trattazione specifica delle condizioni dello spettacolo dal vivo. Ci hanno dato delle risposte importanti: una prima ridefinizione dei criteri del Fondo unico per lo spettacolo (Fus) per far fronte all’emergenza; l’abbassamento del numero delle giornate per accedere alla cassa integrazione in deroga, da 30. a 7: ciò ha consentito l’allargamento della platea degli aventi diritto. Certo, solo poche persone l’hanno ricevuta. Ma qui entra in gioco il peso della burocrazia che stringe l’Italia in una morsa da cui è difficile liberarsi. Anche il bando rivolto a tutti gli organismi extra Fus è stato un segnale importante per il teatro, la danza e la musica. Purtroppo le conseguenze di questa emergenza sono appena all’inizio. Questo è un periodo di grande fermento, io e i miei colleghi ci stiamo dando molto da fare per capire come operare all’interno dei vincoli imposti dal Covid, come mantenere in vita le aziende e garantire i livelli occupazionali. Stiamo utilizzando questo momento di necessaria riflessione per mettere al centro la creazione artistica e migliorare le normali condizioni di lavoro. A livello regionale si è aperto un tavolo permanente per far fronte ai problemi immediati ma anche per progettare il futuro con una semplificazione burocratica e una nuova legge per il settore. Ogni crisi è un’opportunità di ristrutturazione e quindi di miglioramento».

«La preoccupazione – continua Siriu – è non sapere se si riuscirà a conciliare i tempi di emanazione delle norme e la loro applicazione pratica con quelli dell’organizzazione dello spettacolo. Adattare il percorso artistico alle possibilità concesse dall’emergenza, senza snaturarlo, è un altra grande preoccupazione.  Il teatro post-Covid? Sarà più vitale. Incontrare  nuovamente il nostro pubblico sarà un momento emozionante e importante. Chiederei al governo la moratoria di un anno sulle spese militari e di investire quelle risorse nella sanità, istruzione, cultura e spettacolo». Per Cristiana Cocco, attrice, il settore è stato trascurato quanto tanti altri come il  turismo e la ristorazione: «Ma non mi sento di giudicare duramente l’operato del ministro e del governo. Siamo un paese che ormai da tempo è in crisi e non ha puntato sul valore della cultura. Perciò non mi sono mai aspettata tanto ascolto dalle istituzioni. La passione ha occupato un posto maggiore rispetto alle preoccupazioni e non ho mai pensato fosse una scelta comoda e facile. Tuttavia è stata sempre necessaria. Non so che sorte avrà il teatro, cerco di essere positiva, la gente ha bisogno degli artisti e noi abbiamo bisogno della gente, soprattutto nei momenti storici più difficili. Avrò voglia di riandare in scena quando le condizioni lo permetteranno. Per me è importante stare bene e in salute. Chiedo al governo di poter fare il mio lavoro ma soprattutto mi occupo di chi avrà voglia di ascoltarmi e di venirmi a vedere. Il mio desiderio è far felice il mio pubblico , non di impormi».

Fabio Marceddu e Antonello Murgia del Teatrodellarmadio, dicono: «A livello economico si è sempre in bilico in questo lavoro. Un teatro chiuso significa una rassegna chiusa, 5 spettacoli saltati, biglietti aerei di artisti che nessuno ti rimborserà mai,Untour  in Sicilia, rimandato, delle date al nord spostate, eccetera. Ma quel che spaventa di più oltre la “reale perdita economica” è l’incertezza di quando si potrà riprendere a fare le attività anche a distanza si sicurezza, anche vis a vis, anche per uno spettatore. Il  rito della condivisione teatrale si ripeterà solo quando il patto fra attore e spettatore potrà essere rinnovato e percepito attraverso il respiro reale; tutto il resto seppur necessario per continuare a vivere (piattaforme digitali, o teatro in streaming) è qualcos’altro e Altroteatro, ma non è quello per cui scegliemmo di vivere. Abbiamo molto apprezzato in questi giorni gli interventi a riguardo di Mimmo Borrelli, Alessandra Asuni e Vasilie’v: loro sono dei fari in questo momento buio. Non propongono soluzioni ma fanno una lettura in cui ci riconosciamo pur consci che da qualche parte bisognerà ripartire, con la volontà di non far diventare “quest’altra cosa che non è teatro” ma un derivato, e come spesso tutti i derivati pericoloso: routine e neo consuetudine. Noi abbiamo la fortuna di condividere la sede amministrativa quindi cui siamo attrezzati con Zoom tenendo lezioni  con il nostro laboratorio on line, soprattutto di “esercitazioni filmiche” a cura di Antonello Murgia, e continuando  a studiare anche noi formandoci (io Fabio Marceddu sto seguendo un corso di produzione con Gianluca Arcopinto, con la fondazione Fare cinema di Bobbio). Antonello Murgia ha poi autoprodotto firmando le musiche il nuovo inno ” Per il Festival Tuttestorie” con le rime di Bruno Tognolini e la supervisione di Manuela Fiori e Pierpaolo Falco».

«Inoltre – proseguono – da due settimane in collegamento da New York con le organizzatrici del Festival IN SCENA leggiamo in italiano dopo averle “tradotte” delle poesie scritte da autori americani contemporanei, in compagnia anche di altri artisti come Tiziana Pani e  Cristiana Cocco. Per la riapertura il teatro dallarmadio, è in parterniato con Consorzio Camù e Exmà, e per il 15 stiamo pensando a tante soluzioni, con riunioni per capire come poter diversificare l’offerta culturale alla luce delle nuove disposizioni di sicurezza».

Anche Nicola Michele, della direzione artistica della compagnia “Il salto del delfino” e che si occupa anche di teatro-terapia, ritiene che il governo abbia agito in ritardo: «L’impatto è stato disastroso. In questo periodo però non siamo stati fermi, abbiamo fatto arti performative online, dibattiti. Penso che dal virtuale non si possa prescindere, ma immagino ovviamente il ritorno all’incontro dal vivo tra attore e spettatore. Auspico che non ci sia più tutta questa eccessiva burocrazia nelle procedure, i ritardi nell’uscita dei bandi e nell’erogazione dei contributi, il lavoro sottopagato (e a volte non pagato). Il governo deve capire che anche noi siamo lavoratori che fanno economia. Ci vorrebbe un “reddito dell’artista”, per aiutare chi è momentaneamente senza contratto», conclude.

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