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Lo sapevate? Come si chiama il vecchio quartiere nel cuore di San Benedetto a Cagliari?

Subito dopo il tribunale, percorrendo a ritroso via Tuveri, sulla sinistra troviamo una serie di caseggiati che facevano e fanno parte di un vecchio quartiere, una serie di vicoli e spazi nei quali il tempo sembra essersi fermato. Adesso ci abitano una ventina di famiglie, ma prima, circa cento anni fa, era uno dei cuori pulsanti della città. Panni stesi all’aperto, tanta semplicità nel quartiere ai piedi di Monte Urpinu.

Si tratta di Su Baroni, il quartiere casteddaio che pochi conoscono nella zona più antica di San Benedetto. Un tempo, quando Su Baroni era l’estrema periferia della città, le case erano molte di più: si affacciavano in cortili comuni, is prazzas, ed erano abitate da ceti bassi della popolazione cagliaritana. Ne esistono simili ancora in via Lanusei, dietro la Manifattura Tabacchi ed erano presenti anche nelle vie Satta, Garibaldi e Sonnino. Come scrive Pier Paolo Mastino per “Cagliaricosedavedere” in questi cortili si affacciavano decine di abitazioni a schiera il più delle volte costituite da un solo vano e cucina.

La denominazione su Baroni veniva originariamente usata per identificare la vasta area che si estendeva da Monte Urpinu all’odierna via Dante. Come toponimo è evidente la genesi dal titolo araldico del proprietario, che era il Barone di Teulada.

In una zona occupata da orti subito dopo la Prima Guerra Mondiale, Alceste Antinori, figlio di Evangelista, un garibaldino toscano, fece costruire queste case. 

La solidità finanziaria di Antinori non durò a lungo e così il suo patrimonio immobiliare fallì nel 1927 e divenne proprietà del Comune di Cagliari.

Alle abitazioni si accedeva dall’area condominiale o, se al piano superiore, attraverso un lungo ballatoio protetto da una ringhiera in ferro. I servizi igienici erano meno dell’essenziale; un unico gabinetto serviva per tutte le famiglie. Poche prazzas avevano un rubinetto d’acqua, spesso, infatti, occorreva approvvigionarsi dalla fontanella della pubblica via. È facile immaginare come questi due servizi comuni, come afferma lo stesso Pier Paolo Mastino, fossero occasione d’incontro (ciacciarras de grifoni) e di scontro (certus de comuru). Stando gomito a gomito, la socializzazione era frequente e si dilatava sino a creare veri e propri momenti di vita comunitaria. Il motivo di festa per una famiglia lo era anche per le altre. Come pure diventavano comuni la tristezza e il lutto. Nascite, comunioni, cresime, matrimoni costituivano altrettante ricorrenze gioiose per la piccola comunità de sa prazza; così la morte era un fatto di cordoglio corale.

L’umanità delle prazzas, nonostante le apparenze, era, in sostanza paciosa e di cuore; non conosceva né odio né rancore. Le zuffe, il pugno facile, l’insulto pesante a carico della moralità dei vivi e degli antenati erano continui. Tuttavia, tutto finiva nel cazzotto o nel richiamo solenne alle corna. Le bufere cadevano, per lo più di colpo come di colpo erano esplose e quando la luna volgeva al buono non era raro che la prazza si mutasse in banchetto. Dalle prazzas di Su Baroni uscirono le reginette della balera che, all’ inizio degli anni Trenta, il dopolavoro aveva messo su in un piccolo casale che stava proprio dove ora c’ è la chiesa di Cristo Re.

Ora Su Baroni è una realtà in grande abbandono. Non è che resti molto: qualche decina di metri malamente ricoperto di cemento segna il confine delle rimpiante prazzas, qualche resto di balconata, qualche pianta e qualche sottano.

Molti vecchi proprietari hanno preferito vendere il terreno, altri (ormai pochi), invece, in quei “vicoletti” ci sono cresciuti, ricordando le rivalità con gli altri quartieri cittadini, ma soprattutto ci vogliono rimanere fino alla fine.

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