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Beta-talassemia e gravidanza. Lo studio di Luisa Anedda vince il Premio Marini dell’Università di Cagliari

E’ stata vinta da Luisa Anedda, dottoressa in Medicina e Chirurgia, la prima edizione del Premio di LaureaAlessandra e Valentina Marini”.

Il riconoscimento è stato conferito qualche giorno fa dal Rettore dell’Università di Cagliari Maria Del Zompo durante una cerimonia nella sala consiglio di Palazzo Belgrano.

La tesi premiata, discussa nel luglio 2018 nella Facoltà di Medicina e Chirurgia con il docente Paolo Moi su “Valutazione del rischio teratogeno dei ferrochelanti nella beta-talassemia: un’esperienza monocentrica” è stata selezionata dopo attenta valutazione da un’apposita commissione.

Il premio, con l’assegnazione di millecinquecento euro, nato da un’iniziativa dei coniugi Franco – già docente dell’Ateneo di Cagliari – ed Elisabetta Marini, ha come obiettivo quello di far conoscere a tutti e incentivare lo studio e la ricerca della beta-talassemia major.

«Il lavoro della tesi è iniziato un anno prima della Laurea – afferma la dottoressa Anedda – occupandomi di beta-talassemia e frequentando il day hospital all’Ospedale Microcitemico. Ho sempre avuto un interesse per la pediatria e mi sono proposta e concentrata su un argomento trascurato dalla letteratura scientifica: l’effetto teratogeno (produce anomalie o malformazioni) sul feto dei ferrochelanti – continua – questi farmaci sono il cardine della terapia della beta-talassemia insieme alla terapia trasfusionale. I pazienti talassemici soffrono di un’anemia che necessita di una reintegrazione attraverso le trasfusioni. Queste comportano un accumulo di ferro in eccesso nell’organismo, che non è in grado di eliminare. Così i pazienti devono assumere i ferrochelanti che permettono di eliminare e quindi limitare l’accumulo di ferro nell’organismo».

Una terapia fondamentale perché la gran parte dei problemi della patologia deriva dall’accumulo del metallo citato principalmente a livello del cuore, fegato e ghiandole endocrine.

Ci descrive come si è svolta la sua ricerca la dottoressa Anedda: «Si tratta di uno studio retrospettivo perché siamo andati a prendere in esame tutti i pazienti talassemici che sono seguiti presso il day hospital talassemia dell’Ospedale Microcitemico. In particolare le pazienti talassemiche che avevano avuto dei figli, dividendole in due gruppi: da una parte le pazienti che secondo le linee guida attuali, hanno interrotto la terapia ferrochelante prima dell’inizio della gestazione. Nell’altro invece sono state inserite le pazienti che sono venute a conoscenza dello stato di gravidanza quando era già in corso, non interrompendo quindi la terapia prima dell’inizio della gestazione. Quindi con un’esposizione accidentale di ferrochelanti nel primo trimestre di gravidanza».

Alle pazienti ai fini dello studio, è stato somministrato un questionario che prevedeva l’inserimento di vari dati clinici e personali in relazione soprattutto alla caratteristiche dei loro bambini: l’età gestazionale alla nascita, il peso e la presenza di eventuali malformazioni.

«Quello che è emerso dalle analisi di questi due campioni – spiega la dottoressa Anedda –  è che nei figli delle madri che sono state esposte accidentalmente al ferrochelante c’è una riduzione di due volte di rischio malformativo. Inoltre un altro dato molto interessante è che si sono osservati valori medi di età gestazionale e di peso alla nascita superiori ai feti non esposti al farmaco».

I risultati della ricerca porterebbero ad affermare che questi farmaci non vanno ad interferire con lo sviluppo fetale.

«Non c’è diciamo un influsso così negativo – spiega la dottoressa Anedda – come potrebbe sembrare dal fatto che questi farmaci attualmente sono controindicati in gravidanza. Le linee guida ne prevedono la sospensione, ma il punto è che queste sono state stabilite sulla base di studi condotti esclusivamente su animali. Ovviamente ci sono dei limiti nel trasferire le osservazione da queste alla specie umana».

Per i pazienti talassemici si è avuto un miglioramento significativo della sopravvivenza e dalla qualità della vita, quindi vi è una necessità non solo strettamente sanitaria ma anche sociale della ricerca. Ad esempio l’esigenza della creazione di una propria famiglia per le persone affette da tale patologia.

«Il nostro studio vorrebbe essere un incoraggiamento ad approfondire questa tematica – dice la dottoressa Anedda – anche se le informazioni raccolte sono consistenti e interessanti.  Quello che è emerso dalla ricerca è che sostanzialmente il ferrochelante non dovrebbe essere visto come un rischio, ma come un fattore protettivo sia per la madre che per il nascituro».

I risultati ottenuti dallo studio aprirebbero nuovi scenari sulla salute della madre, e sulla sua qualità di vita. In quanto avrebbe la possibilità di assumere questo farmaco fondamentale per la sua salute e potenzialmente protettivo per il suo bambino.

Non sono mancate le difficoltà durante la preparazione della tesi, ma la tenacia e la forza di volontà della dottoressa Anedda hanno fatto superare tutte le problematiche.

Nonostante il lavoro di ricerca richiedesse molto tempo è riuscita a seguire costantemente le lezioni e a sostenere brillantemente gli esami del proprio percorso di studi.

«Un grande merito nell’affrontare questo periodo particolarmente impegnativo – svela la dottoressa Anedda – è della mia famiglia. I miei genitori e mio fratello sono stai i pilastri in tutto il mio percorso di vita. In particolare in quello degli studi mi hanno sostenuto in tutti i momenti di sconforto supportandomi, ma anche sopportandomi».

Non dimentica le sue origini seuesi, dove nel paese montano ha vissuto i primi anni di vita.

«Sicuramente questa ricerca è stata una soddisfazione anche per i miei parenti – afferma la dottoressa Anedda – e anche se non ci sono più per i miei nonni. Nonostante tutto il loro ricordo è sempre vivo, così come gli altri zii venuti a mancare».

Presente alla premiazione il professor Vassilios Fanos, docente ordinario e direttore della Scuola di Specializzazione in Pediatria di Cagliari. L’illustre medico ha tenuto a complimentarsi in modo particolare con la famiglia della dottoressa Anedda.

E proprio il premio istituito in memoria di “Alessandra e Valentina Marini”, nasce dall’affetto familiare. Le due ragazze affette da talassemia sono venute a mancare in tenera età, in un periodo nel quale non esistevano ancora non esistono le possibilità dal punto di vista sanitario ma anche di assistenza integrata per questa patologia.

I coniugi Marini, si sono particolarmente commossi che a vincere il premio sia stata il giovane medico.

«Hanno voluto sottolineare quali siano le possibilità ancora oggi di ricerca e di progresso – racconta la dottoressa Anedda – sia per noi giovani medici, ma anche in generale per la scienza. L’obiettivo deve essere il dovere di continuare a migliorare le cura per pazienti. La talassemia è una patologia impattante non solo sul singolo ma su tutta la sua famiglia».

Durante la premiazione molto importante il passaggio del discorso del Rettore Maria Del Zompo, come sottolinea la dottoressa Anedda: «Da farmacologa ha parlato del ruolo e gli effetti che possono avere i farmaci su una persona, in particolare in un periodo delicato come la gravidanza. Quindi si è detta entusiasta dei risultati a cui è arrivata la tesi».

Presente anche la dottoressa Raffaella Origa, uno dei medici che segue i pazienti affetti da talassemia al day hospital dell’Ospedale Microcitemico.

«Per me un punto di riferimento – dice la dottoressa Anedda- già da quando ho svolto l’attività di tirocinio per l’esame di pediatria. Un ottimo medico è una brillante ricercatrice: ha prodotto moltissime pubblicazioni sulla beta talassemia. In particolare studi sulla gravidanza nelle donne affette da questa patologia che per me sono state un punto di riferimento importantissimo».

A novembre la giovane dottoressa inizierà la Scuola di Specializzazione in Pediatria, ma spera sia portata avanti la ricerca da lei intrapresa.

«Sarei molto interessata a proseguire il lavoro fatto – auspica la dottoressa Anedda – se ci fossero le condizioni. C’è l’interesse da parte dell’Università di Cagliari, viste le implicazioni importanti che avrebbe tale studio».

Una ricerca che per essere ampliato avrebbe bisogno anche del coinvolgimento di altri centri specializzati del bacino del Mediterraneo.

«I risultati della ricerca che abbiamo ottenuto finora – spiega la dottoressa Anedda – sono molto importanti e interessanti. Ma potendo realizzare uno studio più ampio, si potranno avere numeri più grandi sui quali lavorare ottenendo riscontri maggiormente sostenuti dal punto di vista scientifico».

Inoltre potenzialmente le implicazioni sarebbero a livello internazionale. La Beta Talassemia tra l’altro con i flussi migratori non è una patologia confinata a determinate zone, ma è diffusa in tutto il Mondo.

«Nonostante questo i pazienti affetti da questa patologia – sostiene la dottoressa Anedda – non dovrebbero mai essere trascurati, così come la ricerca in questo campo. Perché parliamo di persone a prescindere dai numeri e dai posti letto».

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