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Mohamed Gayè, 20 anni: a Cagliari dalla Costa d’Avorio con un barcone. Oggi gioca nella Sigma e ha un grande sogno

Mohamed premio Ussi

Lui è Mohamed Chilid Gayè. Mohamed nasce in Costa d’Avorio 20 anni fa da genitori senegalesi. È il più piccolo di 4 fratelli, a 8 anni perde il padre e la sua vita cambia. Mohamed ha un sogno: diventare un calciatore. Il suo esempio calcistico è la nazionale italiana, ama Luca Toni e ancor di più Francesco Totti. Guardavano i mondiali di calcio insieme agli amici e imitavano i loro campioni in strada. Gli piace cantare e ascoltare la musica italiana: Laura Pausini, Marco Mengoni e Andrea Parodi. Di Parodi, nei momenti di sconforto, per darsi coraggio canta “Gracias a la vida”.

È il 26 maggio del 2016, quando il giovane ivoriano arriva nelle coste della Sardegna: “Ho un ricordo brutto di quel viaggio, non vedevamo altro che il mare. Non è stato facile, eravamo 185 persone ammassate in una barca di 12 metri. Uomini, donne, bambini tutti insieme, con la speranza e il terrore negli occhi”, esordisce così Mohamed, fatica a ricorda quei momenti.

È stata la sua passione per il calcio a portarlo in Italia, spinto dall’incoscienza di un bambino che insegue il proprio sogno e dal desiderio di realizzarlo, senza che forse si rendesse realmente conto dei rischi che stava correndo: “Ho iniziato a giocare a calcio quando avevo 6 anni. – racconta con occhi nostalgici – Giocavo in strada con i miei amici. Un giorno un signore mi portò a giocare in una squadra della mia città, mi avevano detto che ero bravo e che mi avrebbero portato a giocare in Francia. Così è iniziato così il mio lungo viaggio, faccio anche fatica a ricordare quanto sia durato. Il nostro procuratore, lo chiamavamo così, ci ha portato prima in Tunisia, poi due mesi a Dubai. Abbiamo sempre giocato a calcio in questo periodo. La promessa era sempre la stessa: arriverete in Francia e diventerete grandi campioni. Io e il mio amico, che ora gioca a Torino, abbiamo sempre creduto a lui. Un giorno siamo tornati in Tunisia e all’improvviso lui, il procuratore, è scomparso abbandonandoci lì. Eravamo soli però contenti di poter continuare a giocare a calcio nella squadra tunisina As Marsa”.

Conosce 7 lingue Mohamed e parla un italiano fluente. È timido, sorride, arrossisce, ma dalle sue parole vien fuori tanta forza: “Un nostro compagno di squadra ci aveva detto che in Libia stava giocando la Lega Pro. Abbiamo deciso di andare, senza sapere che dal giorno la nostra vita sarebbe cambiata. Arrivati lì ci hanno catturati a causa del colore della mia pelle. All’inizio non capivo, loro volevano soldi per lasciarci andare. Non volevo far spaventare la mia famiglia, che non sapeva neanche fossi in Libia. Così ho chiamato un amico in Francia che ha mandato i soldi ai nostri carcerieri. Ricordo che era notte, ci hanno messo sulla barca, ci avevano detto che era l’unico modo per restare vivi. Non sapevo neanche dove ci stavano mandando. Era tutto strano”.

Racconta di non aver subito maltrattamenti e di essersi sentito fortunato per aver trovato i soldi, ma i suoi occhi hanno visto le umiliazioni che altri prigionieri hanno dovuto subire, le sue orecchie hanno sentito i loro lamenti, le loro sofferenze. Lui si è sentito impotente davanti a quelle scene di ordinaria violenza, ma si è sentito anche un privilegiato a poter salire su quella barca, ignaro di quello che il destino gli avrebbe riservato.

“Arrivato in Sardegna mi hanno portato in una casa famiglia di Assemini che si chiama “La promozione sociale”, dove sono rimato un anno e 7 mesi. Qui è iniziata la mia nuova vita: sono andato a scuola per imparare l’italiano e ho frequentato un corso per diventare mediatore culturale, grazie al quale ho fatto anche un anno di tirocinio al Tribunale minorile di Cagliari. Ho iniziato a giocare di nuovo a calcio ad Assemini, ma a causa di un problema al cuore, sono stato anche operato, mi sono dovuto fermare. Sono rimasto fermo un anno e quattro mesi. L’anno scorso ho giocato al Castiadas e quest’anno mi ha acquistato la Sigma”.

 

Cosa ti piace di Francesco Totti? Il legame con la sua squadra, lui diceva sempre “Ho tradito tutte le mie donne, ma mai la Roma. Mi piaceva vederlo segnare e correre verso la curva con il dito in bocca come un bambino. Invece di Luca Toni mi piaceva quando correva e sorridendo ruotava la mano intorno all’orecchio”.

In Costa d’Avorio ha lasciato la madre e i suoi fratelli, presto tornerà a trovarli. Ha un progetto che vuole portare avanti: aiutare i bambini albini abbandonati negli orfanotrofi in Senegal. Per riuscire nel suo intento, spinto da una grande generosità e voglia di aiutare il prossimo ha scritto due libri: il primo sulla sua vita e il suo viaggio verso l’Italia è dedicato alla figura del padre, il secondo è una raccolta di pensieri e poesie. Per questo suo progetto, lo scorso 10 settembre, è stato anche premiato dall’associazione della stampa sportiva sarda (Ussi).

“Questi bambini sono stati abbandonati e discriminati hanno bisogno di creme solari e di occhiali da sole. Quando sono arrivato qui non avevo niente e sono stato aiutato. Oggi riesco a mangiare e pagare l’affitto. Posso e devo essere riconoscente con quelli che mi hanno aiutato. In che modo? Aiutando gli altri. Quando ho visto questo progetto ho deciso di contribuire: ogni soldino che mi danno per i libri io lo conservo per comprare le cose a questi bambini”.

Perché proprio “Gracias a la vida” di Parodi? “La vita mi ha insegnato tante cose e quando sono andato via di casa ho visto tante cose brutte. Non serve essere miliardari, noi cerchiamo la felicità nei soldi, ma non serve, l’importante è stare bene e poter dare la felicità anche agli altri. Nella vita non sai mai cosa ti può succedere, la ruota può girare da un momento all’altro e io rispetto a molti miei coetanei in africa sono un ragazzo fortunato”.

Chi è Mohamed? “È un ragazzo che è nato in una bella famiglia, dove ha ricevuto una grande educazione. Sono orgoglioso della mia famiglia e quando mi raccontano del gran bene che ha fatto mio padre io mi commuovo e cerco di prendere il suo esempio. Non vengo da una famiglia povera, stavamo bene. Prima mi lamentavo per un paio di scarpe che non mi compravano, perché non mi davano i soldi per andare a fare il week end, perché non mi compravano le magliette Gucci o Adidas. Quando ho perso mio padre è venuto fuori il mio carattere ribelle, ero un gran monello e ho conosciuto un altro tipo di vita. Spesso ho sbagliato. Ho superato tante cose. Andavo nei villaggi a comprare il legname per venderlo ai cinesi, guadagnavo molto per la mia età, andavo a scuola e facevo business. Un giorno ho perso tutto il denaro che avevo. Ed è stato in questo momento che ho visto che dalla vita puoi avere tutto ma puoi anche cadere facilmente.

Cosa hai imparato quel giorno? “Ho imparato che non dobbiamo lamentarci per le cose futili. Ho visto gente che non mangia per tre giorni e non si lamenta, gente che lavora dalla mattina alla sera senza fermarsi. Dobbiamo aiutarci e dobbiamo aiutare il prossimo. Non so se domani io devo vivere o devo morire, l’importante è fare le cose bene ed essere onesti. Ogni giorno dico grazie a Dio e cerco di fare qualcosa per aiutare chi ha bisogno, è questo che mi hanno insegnato i miei genitori. A casa mia c’era sempre un via via di gente, io ero piccolo e pensavo fossero miei fratelli, invece erano persone a cui i miei genitori davano da mangiare perché non avevano niente”.

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