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La lingua italiana a Cagliari: da “magazzeno” a “dozzena” senza dimenticare “entra la roba” e “ched’è”

Alzi la mano chi non ha almeno un parente che dice “magazzeno”. Eh sì, ammettiamolo ci sono alcune parole per le quali nutriamo una vera e propria idiosincrasia, quando le sentiamo ci viene l’orticaria. Ma attenzione, perché per quanto siano fastidiose, magazzeno e dozzena non sono scorrette, l’Accademia della Crusca afferma che sebbene sia sconsigliato utilizzarle soprattutto nella forma scritta, sono corrette, forme arcaiche diffuse nel nord Italia, Emilia, Liguria, Lombardia e Toscana, la Sardegna non è citata. Evidentemente gli esperti dell’Accademia della Crusca non frequentano Cagliari! Mentre non si può certo affermare che sia corretto “magare”, che esiste ma è un verbo e significa “fare magie”. Qui da noi invece è la variante povera di magari, che la nostra vicina, perché ce l’abbiamo tutti una vicina che lo dice, lo utilizza quando deve ipotizzare più opzioni: «magare è passato e non l’ho visto», oppure «io lo sceglierei magare rosso» o ancora «di mattina non ce la faccio, magare di sera».

Per noi la grammatica è un’opinione e infatti per il genere e il numero dei sostantivi ci regoliamo un po’ come ci pare e piace, per cui la radio è femminile, ma finisce con la “O” quindi anche il diminutivo seguirà la stessa regola e sarà “ la radietto”. Le auto invece ci piace farle precedere dall’articolo maschile pur essendo sostantivo femminile, “il Mercedes”, “il Porsche”, chissà perché invece le Fiat vanno tutte al femminile, “la Panda”, “la Multipla”, sarà un becero caso di sessismo? Anche coi singolari e i plurali non si scherza, la gente è una, ma è formata da tanti, sarà per questo che «la gente hanno ragione» oppure «ma la gente che problemi hanno?». Ma se c’è un aspetto della grammatica italiana di cui a Cagliari ci serviamo con estrema disinvoltura sono i verbi. Se ci sentisse il professor Sabatini che la domenica mattina smaschera gli strafalcioni in TV, ci costruirebbe su un’intera serie: “La solitudine dei verbi intransitivi”.

Per i cagliaritani infatti, anche per molti di quelli che i libri li hanno aperti spesso, “scendere la serranda”, “salire la spesa”, “uscire l’immondezza”, “passeggiare il cane”, “giocare il bambino” per intrattenerlo, rappresentano la normalità. Sarà la pigrizia, a Cagliari si sa, siamo tutti un po’ indolenti, ma proprio non ce la possiamo fare a ritirare i panni stesi se piove, noi “entriamo la roba”, anche perché se sta piovendo dobbiamo fare in fretta, non possiamo mica star lì a riflettere su come si dice correttamente, altrimenti i panni, anzi la roba si bagna. In fin dei conti con un popolo che “spara la gente” e “la telefona” non è che si possa discutere, non conviene anche perché poi “chiama a suo cugino”.

Certo concedere il complemento oggetto anche ai verbi che non se lo possono permettere è un gesto di grande generosità, ma è con il gerundio che noi cagliaritani diamo il meglio. Perché quando diciamo «ti ho visto correndo al Poetto», mica è chiaro se a correre fossi io o tu, o tutt’e due, ma che ci frega del soggetto? D’altra parte io e te lo sappiamo: se stavi correndo tu, il soggetto sono io che ti stavo guardando ed ero fermo, se stavo correndo io, tu eri fermo e ti ho visto di sfuggita, se stavamo correndo entrami, ipotesi più probabile, eravamo di fretta e per questo non ci siamo salutati. E comunque diciamocela tutta, non penserete che il gerundio col verbo essere l’abbiano inventato gli inglesi? No no, «babbo è arrivando» lo diciamo da sempre, altro che present continuous. Non abbiamo certo bisogno di lezioni dagli anglosassoni per dire «adesso non può, è facendo cosa».

È probabile che in questo breve elenco ne manchino parecchi, di errori grammaticali, ma sicuramente la carrellata non si può chiudere senza la ciliegina sulla torta, anzi vista la peculiarità tutta casteddaia, la mandorla sul pan’e saba: l’unico, l’inimitabile, sempre attuale “ched’è”, con la sua variante “sed’è” che ci permettiamo il lusso di declinare anche all’imperfetto, ched’era e sed’era. E in questo non ci batte nessuno, non solo la Crusca lo ignora, ma digitando ched’era riusciamo a disorientare anche il più grande motore di ricerca al mondo, che ci chiede se forse cercavamo “che d’era”. No caro potentissimo Google, ched’era, si scrive ched’era.

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